di Gabriele Loiodice

Il conflitto del Nagorno-Karabakh riflette la grande frammentazione etnica e l’instabilità che caratterizza il Caucaso meridionale, una regione pertanto ricca di rivalità tra le potenze regionali coinvolte. A differenza dei conflitti congelati in Georgia, la disputa tra Armenia e Azerbaigian non si è mai assopita e ha visto le due parti ricorrere più volte all’impiego della forza militare per affermare le proprie prerogative sul territorio. Il Nagorno-Karabakh è una regione tradizionalmente armena, posta però sotto la sovranità azera durante la dominazione sovietica, riproponendo uno schema di destabilizzazione etnica comune alle ex repubbliche sovietiche. La Prima guerra del Nagorno-Karabakh, avvenuta tra il 1988 e il 1994, fu causata dalla volontà della nascente Repubblica di Armenia di ricongiungere la storica regione sotto il proprio controllo. Le difficoltà interne in Azerbaigian unite al supporto russo nei confronti di Yerevan, portarono al successo dell’attacco armeno, frenato però dalla mediazione da parte di Mosca e dallo schieramento delle truppe di peacekeeping russe.

L’interesse russo nell’esercitare la propria influenza nel Caucaso meridionale, specialmente in un periodo storico in cui la Federazione russa non disponeva delle risorse necessarie a garantirlo, passava soprattutto nel mantenimento di uno stato di rivalità e conflitto tra le neonate repubbliche locali. Mosca, ricorrendo al divide et impera, puntava alla non risoluzione del conflitto sul Nagorno-Karabakh così che Yerevan permettesse la presenza militare russa sul proprio territorio e Baku non si avvicinasse troppo all’Occidente sempre più interessato alle risorse energetiche della regione. Fu proprio l’approfondimento dei legami tra Stati Uniti, stati europei e Turchia con l’Azerbaigian a creare per Baku un’alternativa a Mosca, limitando la sua influenza all’Armenia.

Crescita azera e declino armeno: la riconquista tra 2020 e 2023

Le entrate derivanti dall’esportazione di idrocarburi, unite al supporto strategico della Turchia, paese con il quale Baku condivide lingua, cultura e inimicizia verso Yerevan, hanno permesso all’Azerbaigian di accrescere il proprio potenziale bellico, applicato sin dal 2010 e utilizzato per conquiste territoriali tra il 2016 e il 2023. La crescita azera e i conseguenti successi militari nel Nagorno-Karabakh sono avvenuti contemporaneamente a un progressivo declino e isolamento dell’Armenia, paese i cui apparati strategici sono dipendenti totalmente dalla Federazione russa. La chiusura dei confini con Turchia e Azerbaigian, il fallimento dell’apertura verso la Georgia, il limitato successo dei legami nati con l’Iran e l’esclusione dall’infrastruttura energetica regionale occidentale, ha sottoposto Yerevan all’altalenante interesse russo e alla preponderanza turco-azera nella regione, la quale ha portato ai successi di Baku culminati con la vittoria del 2023.

Fonte: Semercioğlu, H. (2021) | La mappa mostra le conquiste azere nel 2020. Si noti che il territorio occupato dall’Armenia, riconquistato dalle forze di Baku, non si limitava solo al Nagorno-Karabakh, ma congiungeva la regione ai confini armeni. Il Nagorno non è stato interamente conquistato manu militari nel 2023, ma la vittoria azera è avvenuta per la capitolazione dell’Artsakh.

I conflitti del 2020 e del 2023 hanno portato alla riconquista azera del territorio occupato nel 1994. Decisivo è stato il supporto militare turco e israeliano, quest’ultimo fornito in cambio della possibilità per Tel Aviv di spiare l’Iran dal vicino territorio azero. L’Armenia, pur essendo parte del CSTO, non ha potuto contare sul proprio principale alleato, la Russia, la quale ha dimostrato al contrario più vicinanza all’Azerbaigian negli ultimi anni fornendo armi e non opposizione alla chiusura del corridoio di Lachin nel 2022. La percezione del distacco russo ha portato Yerevan a cercare di avvicinarsi all’Occidente, anche per trovare garanzie su ciò che rimaneva della Repubblica di Artsakh. L’esercitazione militare congiunta tra forze statunitensi e armene annunciata a inizio settembre 2023 non ha però impedito l’attacco azero.

Vincitori e vinti: chi e che cosa guadagna dal conflitto del settembre 2023

La risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh in favore dell’Azerbaigian ha soddisfatto quasi tutti gli attori che competono nel Caucaso meridionale. In primo luogo, Baku ha completato il proprio obiettivo strategico posto sin dal 1994 e ha così garantito un ambiente più sicuro per il coinvolgimento dei partner occidentali. L’assenza di una minaccia armata da un’enclave armena verso gasdotti e oleodotti che congiungono Azerbaigian, Georgia e Turchia, è un fattore positivo anche per gli stati europei, specie per l’Italia, che vedono così ridotte le minacce al tratto azero del Southern Gas Corridor. L’Unione Europea – nonostante abbia sempre cercato il dialogo con Yerevan e abbia sempre condannato l’utilizzo della forza nel Nagorno-Karabakh – è stata accusata di aver ignorato l’aggressione azera per preservare gli accordi energetici con Baku, limitandosi ad una timida condanna morale.

La Russia, alleato militare dell’Armenia, in seguito al conflitto ha sicuramente perso ulteriore influenza nel Caucaso meridionale in quanto la possibilità di mantenere un piede nella regione è limitata dalla riconquista azera. L’abbandono di Yerevan e la crescente vicinanza verso Baku segnano però una maggiore consapevolezza russa riguardo gli equilibri regionali, specialmente in un momento in cui la guerra in Ucraina drena risorse e minaccia un effetto domino sugli instabili confini russi. Schierarsi con Baku è innanzitutto un mezzo per ingraziarsi Ankara, la quale svolge un ruolo fondamentale nel conflitto ucraino. La necessità di Mosca nel Caucaso è sviluppare influenza in Azerbaigian, l’attore più rilevante tra le piccole potenze della regione poiché diretto competitor nel campo energetico, quindi strategico per i legami che offre a Turchia e Unione Europea. Limitare i rapporti azero-turchi/occidentali significherebbe per Mosca mantenere ancora influenza nel Caucaso, considerando la totale ostilità della Georgia e l’abbandono dell’Armenia.

La diminuzione dell’influenza russa nella regione ha sicuramente giovato alla Turchia, attore limitato nell’espansione dei propri interessi regionali proprio da Mosca. Ankara si è sempre dimostrata un alleato fedele per Baku, sia per interessi energetici che per espandere la propria influenza sull’area etnicamente turca che si estende dall’Azerbaigian all’Asia centrale. Il supporto militare turco nel conflitto del Nagorno-Karabakh, oltre ad essere stato determinante sul campo, è necessario per creare dipendenza da parte di Baku e ottenere così influenza. Pertanto, l’incognita per Ankara sarà la capacità di esercitare la stessa influenza sull’Azerbaigian ora che la disputa è risolta, poiché – similmente alla Russia – un conflitto regionale è un mezzo utile al mantenimento dell’influenza politica. Come analizzato in seguito, la questione di Nakhchivan potrebbe essere utile alla Turchia anche in questo senso.

L’Iran, seppur non possedendo le stesse risorse di Turchia e Russia, è un attore presente geograficamente nel Caucaso meridionale e pertanto non può astenersi dagli affari regionali. La cooperazione tra Teheran e Yerevan, seppur limitata, ha permesso all’Iran di espandere la propria influenza nella regione, supportando l’Armenia nel conflitto del Nagorno-Karabakh se non altro per contrapporsi alla presenza israeliana in Azerbaigian. La riduzione dell’influenza russa offre la possibilità per Teheran di espandere i propri interessi in Armenia, fornendo un’alternativa alla Russia e all’Occidente. Le opportunità sono tuttavia ridotte dai vantaggi che la collaborazione con l’Occidente offrirebbe a Yerevan, una volta normalizzati i rapporti con Turchia e Azerbaigian.

Gli Stati Uniti, godendo della possibilità di indirizzare l’azione degli stati europei coinvolti nella regione, oltre che ad essere il leader della NATO, alleanza che limita le ambizioni turche, hanno in definitiva la possibilità di plasmare gli equilibri regionali che nasceranno con la scomparsa della Repubblica di Artsakh. Con il ruolo di Mosca ulteriormente ridimensionato nella regione, l’obiettivo statunitense rimane quello di limitare un’eventuale espansione dell’influenza iraniana in Armenia, attirando quindi Yerevan nell’orbita occidentale, favorendo innanzitutto la normalizzazione dei rapporti tra Armenia, Azerbaigian e Turchia. Mantenere il controllo sugli equilibri regionali è importante per Washington al fine di limitare un’azione unilaterale di Ankara, attore che si è dimostrato più volte ambiguo in particolare nei rapporti con la Federazione russa.

L’unico paese realmente sconfitto è l’Armenia, la quale si ritrova in una situazione ancora più delicata e complessa. La percezione dell’abbandono russo ha portato nel 2018 alla nascita di un governo filoccidentale guidato da Nikol Pashinyan, osteggiato soprattutto dai vertici militari tradizionalmente legati a Mosca e al supporto incondizionato all’Artsakh. Qualora si trovasse un equilibrio tra le fazioni rivali interne – fatto comunque reso difficile dal tentato colpo di stato del 2021 – la fine della disputa sul Nagorno-Karabakh porterebbe a un graduale riassorbimento delle frizioni con Turchia e Azerbaigian. Rinunciando alla Russia ed evitando si sostituire la dipendenza da Mosca con quella da Teheran, Yerevan potrebbe rientrare nella sfera di influenza occidentale e attirare quindi gli investimenti necessari allo sviluppo delle arretrate condizioni economico-industriali del paese, oltre che alla possibile partecipazione a progetti energetici regionali.

Nakhchivan e il futuro degli equilibri nel Caucaso meridionale

La guerra del settembre 2023 in Nagorno-Karabakh probabilmente ha chiuso il conflitto tra Armenia e Azerbaigian, ma non ha cancellato la rivalità tra i due paesi. In particolare, la delicata situazione politica interna in Armenia potrebbe portare alla definitiva rinuncia a qualsiasi pretesa sulla regione contesa, oppure potrebbe generare un movimento revanscista volto a proseguire il conflitto con Baku. Un’ulteriore questione che tiene aperto il confronto tra le due repubbliche caucasiche è quella dell’exclave azera di Nakhchivan. La riconquista del Nagorno-Karabakh potrebbe portare Baku a considerare l’invasione della provincia armena di Syunik che separa per circa 30 chilometri l’exclave dal territorio azero, creando il progetto infrastrutturale del corridoio di Zangezur, fortemente desiderato anche da Ankara, al quale però si è opposta Teheran minacciando persino l’intervento militare; l’Iran vedrebbe infatti chiuso il collegamento terrestre all’Armenia e la presenza israeliana, turca e azera (della NATO, per esteso) accrescerebbe lungo i propri confini. I vantaggi di un’ipotetica occupazione armena di Nakhchivan – soluzione per altro sostenuta da alcuni partiti nazionalisti – sarebbero notevoli per Yerevan e Teheran: chiusura alla Turchia di un accesso diretto all’Azerbaigian e presenza strategica avanzata per l’Iran.

Fonte: Stiftung Wissenschaft und Politik | la mappa mostra l’infrastruttura esistente e progettata che collega Azerbaigian e Turchia attraverso l’exclave di Nakhchivan. Al centro si nota il corridoio di Zangezur, corrispondente alla provincia armena di Syunik.

Tuttavia, si tratta di un obiettivo irrealizzabile, sia per la presenza di truppe turche sul territorio che per l’incerto supporto militare iraniano. La prerogativa al momento per l’Armenia – nonostante le fratture interne – è puntare alla normalizzazione dei rapporti con i propri vicini, limitando l’estendersi del conflitto su nuovi fronti. L’Iran sembra procedere nella stessa direzione, come dimostrato dal collegamento aperto tra Nakhchivan e Azerbaigian sul proprio territorio, per favorire così un’alternativa al corridoio di Zangezur. Inoltre, finché la disparità tra Yerevan e Baku rimarrà così elevata, le possibilità per Yerevan di avanzare nuove pretese è decisamente limitata, considerando anche la crisi dell’esodo degli Armeni dal Karabakh.

La situazione attuale soddisfa tutte le potenze coinvolte nel Caucaso meridionale, Russia compresa (sebbene possa apparire per essa come una sconfitta). L’attenzione degli Stati Uniti e degli alleati europei sarà rivolta a limitare le ambizioni di potenze rivali (Iran e Cina), le quali potrebbero sfruttare l’instabilità in Armenia per ampliare la propria influenza, e controllare tramite la NATO l’espansione degli interessi turchi nella regione, assicurandosi che non prevarichino quelli dei vertici dell’alleanza, Stati Uniti in primis. L’Azerbaigian, vista la scarsa opposizione internazionale alle proprie manovre militari, potrà considerare il ricongiungimento con Nakhchivan, fatto che escluderebbe l’Iran e pertanto accontenterebbe Washington. Tale evento sembra sempre più probabile, come annunciato dal Segretario di Stato statunitense Blinken. Ciò significherebbe una crisi definitiva in Armenia che difficilmente potrà contare sull’Iran, il quale vede già impegnate le proprie scarse risorse nel supporto a Hezbollah e Hamas, oltre che nelle guerre per procura contro l’Arabia Saudita. L’eventuale assorbimento dell’Armenia nell’orbita occidentale è sicuramente un obiettivo ancora distante, motivo per cui Yerevan sembra condannata all’isolamento ancora a lungo, subendo le decisioni dei suoi vicini prima sul Nagorno-Karabakh e ora sul corridoio di Zangezur.

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