di Fabio Naca
La questione turca sull’isola di Cipro
Il 15 novembre scorso si è tenuto un incontro nella Repubblica Turca di Cipro del Nord tra alcuni dei personaggi chiave della medesima autoproclamata Repubblica, della Turchia e dell’Azerbaijan. A rendere gli onori di casa è stato Ünal Üstel — Primo Ministro nonché leader dell’UBP, il partito di unità nazionale che capeggia il fronte di maggioranza — , mentre nelle veci di ospiti si sono presentati il vice-presidente dell’AKP, Efkan Ala — la formazione partitica cui appartiene anche il Presidente turco Erdoğan — , e Tahir Budagov, vice-leader del partito attualmente alla direzione dell’Azerbaijan, ossia lo YAP. Al centro delle discussioni, la questione delle popolazioni turcofone ha trovato uno spazio particolarmente ampio, come ricordato dallo stesso rappresentante di Ankara. Questi ha anche enfatizzato la necessità di garantire una maggiore unità d’intenti tra i Paesi coinvolti, anche alla luce dei recenti sviluppi a proposito della questione riguardante il Nagorno-Karabakh e l’Artsakh che hanno visto uscire Baku vincitrice da un’annosa questione con l’Armenia.
Negli ultimi mesi, i rapporti tra i tre Stati sono andati sempre più intensificandosi fino a raggiungere il proprio acme durante l’incontro di cui sopra, svoltosi per giunta in una data dall’importanza centrale nelle dinamiche geopolitiche di Ankara, poiché proprio il 15 novembre 1984 la Repubblica Turca di Cipro del Nord annunciò la propria indipendenza dal restante territorio repubblichino a maggior vocazione filo-ellenica. A tal proposito, già nei primi giorni di ottobre 2023 ebbe luogo un evento a tratti storico, corrispondente alla prima visita ufficiale di un Presidente della Repubblica Turco-Cipriota, Ersin Tatar, a Baku, con l’obiettivo di “sviluppare e consolidare i legami con l’Azerbaijan in termini di educazione, cultura ed economia”.
A rendere complicato lo schema di piena integrazione in direzione turcofona è la presenza della Grecia, da sempre esercitante un forte ascendente sui destini dell’isola. I contrasti tra i due schieramenti, rafforzatisi a seguito della proclamazione unilaterale d’indipendenza del Cipro settentrionale quattro decenni orsono, non traspaiono solo sul piano diplomatico, bensì anche in contesti quotidiani e culturali più mondani. Uno specchio di tale scenario è offerto da una recente pubblicazione sul giornale Ekathimerini, una delle testate più vendute in territorio ellenico, all’interno della quale veniva avanzata una forte critica alla duplice condotta di Ankara tra Azerbaijan e Cipro. A detta del giornale greco, se nel primo caso il governo turco sarebbe ligio nel far rispettare le direttive del diritto internazionale a favore di Baku (nello specifico in riferimento alla fine dell’occupazione territoriale armena in Nagorno-Karabakh), l’establishment di Ankara è invece percepito come ipocrita per la gestione politica della questione cipriota, dove le istituzioni anatoliche sono accusate di mancare di rispetto alla medesima giurisprudenza per quanto riguarda l’occupazione della parte nord dell’isola.
I giacimenti di Cipro: Una storia di opportunità mancate
Nonostante la suddetta serie di incontri porti in grembo una prospettiva di fiducia e stabilità, la questione cipriota presenta al proprio interno numerose criticità, non ultime quelle legate a doppio filo sulle discrepanze di intenti lungo l’asse Ankara-Atene e, di conseguenza, sui binari che portano a Bruxelles. Negli ultimi dieci anni si è infatti inasprito il rapporto tra le parti a causa di una serie di presunte violazioni del governo turco a danno della sovranità territoriale di Nicosia, causate da numerose esplorazioni e trivellazioni nella zona economica esclusiva cipriota, cui hanno fatto seguito sanzioni economiche da parte dell’UE.
A partire dal 2011, Cipro è infatti emersa in modo prorompente sulla cartina comprendente i Paesi più appetibili da un punto di vista collegato all’estrazione di gas, specialmente se si considera che solo negli ultimi dodici anni ben cinque giacimenti (in ordine cronologico: Afrodite, Calipso, Glauco, Crono e Zeus) di questo tipo sono stati scoperti all’interno dell’area sottomarina compresa nella ZEE di Nicosia. Secondo le stime, da questi sarebbe estraibile una quantità di gas compresa tra un minimo di 343 e un massimo di 496 miliardi di metri cubi. A rendere potenzialmente più appetibile la posizione cipriota sullo scacchiere internazionale è anche l’incapacità, almeno fino ad oggi, del piccolo Paese insulare di poter sfruttare a dovere la suddetta ricchezza, tanto che nessuno di questi giacimenti risulta ad oggi monetizzato.
Per ovviare alla scomoda presenza turca nella zona, e permettere ciononostante a Cipro di trarre profitto dalla presenza di bacini petroliferi nel sottosuolo, Bruxelles ha proposto una soluzione alternativa consistente nella realizzazione di un gasdotto — si tratterebbe di commercio di GNL — collegante Israele. Grecia e Italia passando per l’appunto dal territorio di Nicosia. Tale proposta, altresì nota come EastMed Pipeline, ha ricevuto l’assenso degli Stati interessati già nel 2013, ma non ha ricevuto finora i fondi previsti per la sua creazione consistenti in circa €6 miliardi.
L’accordo israelo-libanese del 2022: Panacea o cavallo di Troia?
Nell’affrontare la problematica questione dei giacimenti sottomarini, la Turchia ha avanzato nel corso dell’ultimo anno una proposta modellata direttamente sulla base dell’accordo israelo-libanese del 27 ottobre 2022, per mezzo del quale i due Paesi mediorientali hanno messo fine all’annosa diatriba relativa alla linea di demarcazione delle rispettive zone economiche esclusive nel Mediterraneo orientale.
Traendo spunto dalla mappa di cui sopra, si può notare come entrambi gli Stati coinvolti abbiano guadagnato la possibilità di sfruttare i rispettivi giacimenti sottomarini, ossia quello di Karish per Tel Aviv e quello di Qana per Beirut, con Israele che ha anche aggiunto al proprio bottino una percentuale dei guadagni sulla produzione nel giacimento libanese a causa della conformazione geologica del medesimo. Coinvolte nella buona riuscita di questo accordo sono stati anche due colossi nel settore petrolifero a livello mondiale, ossia la francese Total e l’italiana Eni, le quali si sono assicurate la totalità dei diritti esplorativi e seguenti in entrambi i casi.
Se da un punto di vista storico tale accordo ha simbolizzato uno spartiacque nei rapporti tra Israele e Libano — specie considerando che la questione sulla delimitazione della sovranità marittima era trascinata dal 1948 — , in un’ottica di praticità tale esempio ha ricevuto tanti commenti positivi quanti negativi. Infatti, da una parte la stampa filogovernativa di Ankara, come il Daily Sabah, ha sottolineato i pregi della suddetta soluzione, ricordando che i confini ciprioti attualmente riconosciuti a livello internazionale non soddisfano le esigenze di Ankara, creando di fatto una situazione di perenne stallo anche nello sfruttamento dei bacini petroliferi.
Tuttavia, come sottolineato da altre testate, la problematica collegata ai giacimenti ciprioti — e specialmente di Afrodite, sito nella zona sudorientale della ZEE di Nicosia — si trova al centro di numerose discussioni geopolitiche, poiché ben tre Paesi (cui si aggiunge anche il Cipro settentrionale) differiscono nella percezione della sua reale ubicazione per quanto riguarda il legittimo sovrano possidente, ossia Turchia, Cipro e lo stesso Israele. A tal proposito, è necessario anche ricordare come questi due ultimi Paesi non siano stati in grado di raggiungere un accordo negli ultimi dieci anni in merito ad Afrodite, poiché — proprio come nel caso di Qana — anche questo giacimento non ha ancora un proprietario universalmente riconosciuto nonostante i diversi tentativi di dialogo.
Quale prospettiva per Cipro e l’UE?
Dal quadro ivi presentato, emerge come la posizione di Cipro rappresenti una completa sudditanza rispetto alle volontà delle potenze regionali — Turchia e Israele su tutte — e sovranazionali — ossia l’Unione Europea — , le quali hanno negli ultimi dieci anni reso di fatto impossibile lo sfruttamento di risorse energetiche fondamentali per aumentare non solo l’indipendenza di Nicosia dal proprio vicinato, bensì anche al fine di emergere in chiave politica come protagonista delle nuove dinamiche di potere nel Mediterraneo orientale. All’interno di questo scacchiere, le pedine più rappresentative sembrano al momento essere detenute dalla Turchia e più nello specifico per mezzo del controllo esercitato de facto sulla porzione settentrionale dell’isola cipriota. Considerando quanto esaminato fin qui e tenendo a mente la problematica situazione energetica dell’UE, appare strano che Cipro sia finora apparso solo saltuariamente nelle discussioni per la diversificazione della provenienza del gas. La speranza nutrita tanto nelle stanze di Nicosia quanto in quelle di Bruxelles è che le istituzioni comunitarie comincino ad alzare maggiormente la voce in difesa dei propri interessi nel Mediterraneo orientale.