di Lorenzo De Carolis

Mentre l’attenzione internazionale e dei media si è fortemente spostata nell’attuale escalation in Medio Oriente, l’Ucraina deve fare i conti con i tempi prolungati della guerra d’attrito. Di fatto, il 2023 è stato un anno di forti cambiamenti. A partire dagli obiettivi politici e tattici, il Presidente Zelensky, si è scontrato con l’oggettiva mancanza di risorse (umane e belliche) e un crescente isolamento. Il cessato presenzialismo internazionale oltre all’incerto supporto degli alleati, indaffarati dalle divisioni interne per sbloccare gli aiuti, ne sono i sintomi più visibili. L’insieme di tutto ciò ha causato l’esaurimento dello slancio strategico-tattico vincente del 2022, con effetti non indifferenti sulla tenuta del fronte interno, causando uno scontro tra scopi politici e militari, iniziati con la battaglia di Bakhmut (per esigenze simbolico-propagandistiche, relative agli obiettivi del Presidente) e che persistono tutt’oggi. Zelensky deve affrontare con la perdita di popolarità nel Paese ma soprattutto con l’apparente svolta a favore dei russi del conflitto a seguito della controffensiva (che ha ulteriormente ridotto la capacità di munizionamento), più volte rimandata e oramai fallita.

Fonte: ISPI, 2023. Controffensiva ucraina dell’estate-autunno 2022.

Con queste premesse il 2024 non poteva aprirsi nei migliori dei modi. Il Presidente ucraino ha dovuto fronteggiare l’aggravarsi della spaccatura interna, in particolare il contrasto, ormai diventato istituzionale, tra lui e il comandante delle forze armate ucraine, Zaluzhny, il quale, divenuto popolare con il successo della controffensiva del primo anno di guerra, ha iniziato ad attaccare le interferenze di Zelensky a Bakhmut e i suoi obiettivi politici relativi alla riconquista dei confini del 1991. Le critiche all’operato del Presidente sono continuate, sempre più aspre, per tutto il resto dell’anno, soprattutto dopo la pubblicazione di un suo saggio sull’Economist dove criticava la linea politica e ottimistica sull’andamento della guerra di Zelensky. Infatti, il generale proponeva un congelamento del conflitto per ri-armarsi (quindi ripensare una controffensiva) e  una impopolare scelta, attribuita però al Presidente: lanciare una modifica della mobilitazione generale del Paese (per accogliere almeno altri 400/500 mila uomini, sia cittadini in Ucraina ed esuli di guerra, con gravi ripercussioni amministrative). Suddetta legge è attualmente in discussione e se venisse approvata, si vedrà la vera tenuta socio-politica dell’Ucraina riguardo il continuo della guerra, come è successo in Russia in modo favorevole, a fine 2022.

Fonte: The Guardian. Le aspettative sulla controffensiva.

Con il fallimento dell’operazione e con il fattuale stallo del fronte, Zaluzhny, ha trovato maggiori consensi nell’opinione pubblica ucraina, facendolo lievitare in termini di gradimento addirittura al di sopra dello stesso Presidente, ottenendo appoggio pure da parte del sindaco di Kiev (anch’egli popolare) accusandolo di un “crescente autoritarismo”. Al di là della mancanza dei soldati, Zelensky ha poi dovuto ammettere l’insuccesso attribuendo la responsabilità ai ritardi degli aiuti militari. Lo scontro, arrivato all’apice, ha trovato la sua fine con il licenziamento di Zaluzhny a inizio febbraio, al suo posto il generale Syrsky (soprannominato “Il Macellaio” per la sua tendenza a non ritirarsi; russo, di formazione sovietica; autore della difesa di Kiev e della controffensiva a Kharkiv). Zaluzhny rappresentava l’unico competitor serio di Zelensky a causa dell’assenza di un vero e proprio dibattito politico interno. Inoltre, se il Presidente avesse acconsentito al congelamento del conflitto, sarebbe stato politicamente finito (disattendendo le promesse fatte esternamente e ai cittadini), motivo per il quale è ormai vittima dei suoi stessi obiettivi politici. Consapevoli della fase critica, si cerca in questo momento di deviare la logica in strategia di contenimento, viste le difficoltà ad attaccare le linee russe ormai ben stabili (grazie alla sosta invernale del 2022-2023, quella attuale e dalle poche schermaglie avvenute).

Fonte: EPA/YEVGEN HONCHARENKO. Il generale Syrsky stringe le mani dei soldati ucraini nella giornata nazionale della bandiera ucraina a Lyman.

Come lo scorso anno, nei mesi invernali le operazioni terrestri si sono fermate, lasciando spazio alla “Drone War”, non solo da parte russa ma anche ucraina. Infatti, con la riapertura del fronte marittimo, dopo il mancato rinnovamento dell’accordo sul grano la scorsa estate (rispettato ora, in modo velato), il Mar Nero è divenuto l’unico fronte di successo per gli ucraini, con importanti esiti di interdizione dell’area ai danni della marina russa. Tuttavia, nonostante le temperature rigide, i russi continuano a pressare a terra (si veda Avdiivka) e, consapevoli del momento favorevole, cercano di massimizzare i risultati, ben consci dei loro vantaggi in termini temporali. Hanno più uomini, più risorse, le sanzioni occidentali non hanno avuto il risultato sperato (almeno nel breve/medio termine) e all’opinione pubblica, almeno fino ad ora, non sembra pesare la guerra fintanto che il “contratto sociale” tacito tra Putin e la popolazione non sia violato (relativo al mantenimento di una parvenza di normalità attraverso la coscrizione solo di determinate persone e di etnia non russa). Obiettivo russo: ottenere la migliore frontiera geografica, da far valere nei possibili negoziati come nuovo confine; mentre, negli obiettivi politici ucraini, sempre più velleitari, è sempre presente una possibile riconquista dei territori originari del ‘91.

La scarsa coesione interna incide sulle richieste agli alleati Occidentali e, con la recente scelta di licenziare Zaluzhny (ormai eroe nazionale), potrebbe provocare un ulteriore contraddizione, poiché non sono poche le accuse di autoritarismo e di corruzione rivolte al governo. Per di più, l’appuntamento elettorale è stato rimandato a data da destinarsi fintanto che la legge marziale vige in Ucraina. Ciò potrebbe giocare a favore alla propaganda russa che procederebbe ad accusare l’Ucraina di andare contro la retorica portata avanti fino ad oggi. Infatti, la Russia ha confermato il regolare svolgimento delle elezioni di marzo 2024 che, seppur scontate, hanno un ruolo di vitale importanza per cogliere lo stato di salute del regime putiniano e dell’opinione pubblica russa riguardante l’andamento della guerra. Da ricordare è inoltre una questione rilevante ma del tutto silenziosa: l’assimilazione della popolazione sotto occupazione russa. Infatti, procede senza sosta e in modo costante l’assorbimento della popolazione ucraina, rimasta in quei territori, alla società russa e con tutto ciò che ne consegue (rimozioni di simboli, incessante propaganda, russificazione), rendendo sempre più difficile l’eventuale reintegrazione di questi territori in Ucraina (per non parlare della deportazione di almeno ventimila bambini in Russia e Bielorussia, secondo un’inchiesta del New York Times).

Il 2024 si presenta anche come anno chiave non solo per gli appuntamenti elettorali dei due contendenti diretti, ma anche per quelli americani ed europei, che possono cambiare radicalmente l’approccio verso il sostegno ucraino (già frammentato). Più si avvicinano le elezioni americane più l’appoggio di Washington all’Ucraina appare dubbio. Da un sostegno incondizionato si è passati a un sostegno “finchè si potrà”. A dimostrazione di ciò, sono le scorte militari quasi in deficit e lo stallo al Congresso americano, con i repubblicani esplicitamente contrari al nuovo pacchetto di aiuti (considerato l’ultimo stanziamento significativo). Altro messaggio chiaro arrivato al Congresso è stata l’intervista a Putin del repubblicano  Tucker Carlson (la prima da parte di un occidentale grazie alle posizioni del giornalista vicino a Trump), dove il Presidente russo riafferma la sua propaganda (che tanto attecchisce in certe fasce della società occidentale) e ribadisce: “se volete davvero smettere di combattere, dovete smettere di fornire armi. Tutto finirà nel giro di poche settimane”, le sorti del conflitto sono definite da ciò e con la certezza che “una sconfitta strategica della Russia è impossibile” (messaggio rivolto ai russi).

Dall’altra parte dell’Atlantico, a inizio febbraio, il Consiglio europeo è riuscito a sbloccare il pacchetto di 50 miliardi, da spalmare in 4 anni, dallo stallo decisionale  imposto dal veto di Orban. Non si conoscono gli accordi presi tra il leader ungherese e gli altri esponenti europei, ma è chiara invece la politica di ricatto perpetrata da Orban per ricevere il maggior guadagno possibile dall’impasse politica (come è successo anche per l’adesione della Svezia alla NATO). Da non dimenticare, però, anche i rigurgiti in quasi tutti i Paesi Membri contro il sostegno ucraino. Infatti, altro fattore importante saranno le elezioni europee di giugno, con i sondaggi che inducono a pensare a una svolta a destra dell’europarlamento, in particolare quella populista, viste le vittorie politiche recenti nei vari Paesi Membri (come Paesi Bassi e Slovacchia), apertamente avversi ai finanziamenti verso l’Ucraina.

Il 2024 sembra presentarsi un anno chiave per la guerra in corso in Ucraina. Da una parte gli appuntamenti elettorali saranno fondamentali per comprendere come si evolverà il sostegno ucraino, dall’altra la solidità del fronte politico interno sembra cedere davanti al “fattore tempo”, nonostante la popolazione sia convinta sul continuo della guerra (sondaggio Gallup) e a patto che non si modifichi la legge di coscrizione. 

Fonte: sondaggio Gallup, ottobre 2023.
Fonte: sondaggio Gallup, ottobre 2023.

Grazie a questi fattori, Putin consolida la sua figura davanti anche all’élite più scettica sulla conduzione della guerra, dimostrando almeno in apparenza, più resilienza militare ed economica. La Russia così sfrutta retoricamente il momento favorevole per scavare un ulteriore solco tra Occidente e il cosiddetto “Sud Globale” e, inaugurato l’anno di presidenza russa dei BRICS, rivendica la rappresentanza delle istanze di quest’ultimo, in maggioranza nei principali consessi internazionali. Emblema di ciò è il conflitto israelo-palestinese che divide lo stesso tessuto democratico interno dei primi (in particolare con la discordanza tra opinione pubblica e la linea politica delle cancellerie occidentali). Con lo stallo del conflitto, sono molti a pronosticare l’apertura di un possibile negoziato ma ciò, eccetto inaspettate e imprevedibili novità, sarà legato dall’enorme incognita rappresentata dalle elezioni presidenziali americane di fine anno.

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