Emmanuel Macron in visita a Nouméa, capitale della Nuova Caledonia, il 26 luglio 2023.

di Chiara Bertorotta

Tra il 21 e il 23 febbraio scorsi una delegazione dello Stato francese composta dal Ministro dell’Interno Gérald Darmanin, dal Ministro della Giustizia Éric Dupond-Moretti e dalla Ministra dei territori d’Oltremare Marie Guévenoux, si è recata in Nuova Caledonia nel tentativo di trovare una soluzione alle crisi che la collettività sta vivendo, nonché per cercare di migliorarne i rapporti con Parigi. A margine della visita, gli indipendentisti locali hanno organizzato una manifestazione che ha provocato scene di violenza, terminate nel ferimento di cinque gendarmi, e che induce ad interrogarsi sulle sfide poste da questo territorio.

Fonte: Le Monde, 2024 | Manifestazione di attivisti pro-indipendenza organizzata a margine della visita del Ministro degli Interni Gérald Darmanin a Nouméa il 21 febbraio 2024.

Arcipelago situato nell’Oceano Pacifico sudoccidentale, noto ai più per le sue bellezze naturali, la Nuova Caledonia è una delle collettività d’oltremare francesi; essendo eredità dell’Impero coloniale, esse sono caratterizzate da una varietà di statuti giuridico-amministrativi diversi tra loro, risultanti dalle loro specifiche traiettorie storiche.

In particolare, la Nuova Caledonia gode di uno statuto di forte autonomia sui generis, garantito dal Titolo XIII della Costituzione francese, frutto del complesso processo di riconciliazione avviato a seguito della stagione di violenza politica che ha segnato gli anni dal 1984 al 1988 e che ha visto coinvolti lo Stato francese, gli indipendentisti canachi – ovvero la popolazione autoctona che ha subito la segregazione durante il periodo coloniale – e i lealisti – eredi dei coloni favorevoli a restare integrati alla Francia. Il punto culminante di questo dialogo è stato la sigla nel 1998 dell’Accordo di Nouméa, grazie al quale si è stabilita l’organizzazione di tre referendum sull’autodeterminazione.

Fonte: France Info, 2023 | Il 5 maggio 1998, a Nouméa, alla firma dell’Accordo. Da sinistra a destra: Roch Wamytan (indipendentista canaco), Lionel Jospin (ex Primo Ministro francese), Jacques Lafleur (lealista). Dietro di loro: Alain Christnacht e Thierry Lataste.

I plebisciti, svoltisi tra il 2018 e il 2021, hanno confermato la volontà di rimanere all’interno della Repubblica francese; tuttavia, l’ultima consultazione ha registrato un tasso di partecipazione pari solo al 43,87%, ed è perciò stata considerata illegittima dagli indipendentisti canachi, che hanno chiesto l’indizione di un nuovo referendum.

Ad oggi la Nuova Caledonia figura ancora nella lista dei territori non autonomi dell’ONU, ma nonostante ciò la Francia, decisa a tutelare i propri interessi, non sembra disposta a negoziare l’indipendenza, cercando piuttosto di concedere sempre maggiore autonomia.

Gli interessi francesi sulla Nuova Caledonia ruotano anzitutto attorno alla ricchezza del suo sottosuolo, e specificamente attorno alla presenza di nichel, di cui il Paese è tra i primi cinque produttori al mondo

Si tratta di un metallo molto versatile, storicamente impiegato per la fabbricazione di monete e acciaio inossidabile, che assume oggi un ruolo sempre più cruciale nella transizione verso fonti energetiche più sostenibili. Si prevede infatti che la sua domanda crescerà sempre di più, con l’Agenzia Internazionale dell’Energia che ne stima un incremento del 65% entro la fine del decennio.

Nello specifico, il nichel si dimostra una risorsa molto interessante soprattutto per l’industria delle auto elettriche; esso è infatti in grado di fornire una maggiore densità energetica e possiede una maggiore capacità di accumulo dell’energia ad un costo inferiore, caratteristiche determinanti per la miniaturizzazione delle batterie, necessaria per l’avanzamento tecnologico dell’industria. La stessa Tesla ha puntato gli occhi sul nichel estratto in Nuova Caledonia, arrivando a siglare, nell’ottobre 2021, un accordo con Prony Resources, uno dei tre attori produttori sull’isola.

Fonte: The New York Times, 2022 | L’impianto di Prony Resources sul sito di Goro, in Nuova Caledonia, di cui Tesla è diventata il principale cliente.

A porre particolare attenzione alla Nuova Caledonia è però soprattutto la Cina, suo principale partner commerciale, verso la quale nel 2022 è stato esportato nichel per un valore di 851 milioni di dollari. Quando nel 2015 la Francia aveva deciso di bloccare le esportazioni di nichel verso la Cina, gli autisti canachi, preoccupati per le potenziali perdite dei posti di lavoro, organizzarono un blocco stradale della durata di un mese. Il settore rappresenta infatti una fonte di occupazione vitale in Nuova Caledonia, dove il tasso di disoccupazione si attesta intorno al 14% e più della metà delle persone impiegate nelle miniere sono canachi; per loro, i rapporti commerciali con Pechino non sono solo una fonte di reddito essenziale per il Paese, ma sono visti anche come una garanzia per mantenere il proprio tenore di vita – più alto rispetto al resto del Pacifico – in vista di una futura indipendenza dalla Francia. Dal canto suo la Cina sarebbe più che favorevole all’indipendenza della Nuova Caledonia, che le permetterebbe non solo di approfondire i rapporti commerciali con il Paese, ma anche di stabilirne di più stretti sul piano politico, potendo così estendere la sua presenza nella regione. A questo proposito, la Cina conduce operazioni di influenza, puntando sia sulla tessitura di rapporti con i partiti indipendentisti locali, sia sulla diaspora cinese presente nell’arcipelago, insediatasi sin dal XIX secolo, un tempo sostenitrice di Taiwan, ma ora molto sensibile ai discorsi di Pechino.

Sebbene lo spettro dell’interferenza straniera sia annoverato dai lealisti tra le ragioni per rimanere sotto l’egida francese, i leader indipendentisti respingono  l’idea secondo cui l’indipendenza comporterebbe l’asservimento della Nuova Caledonia a potenze straniere; tale visione è infatti considerata una perpetuazione del pregiudizio coloniale che mette in dubbio la capacità dei canachi di autogovernarsi. In merito a ciò, nel 2020, il leader indipendentista Roch Wamytan aveva dichiarato a Le Monde: «Non abbiamo paura della Cina. È stata la Francia, non la Cina, a colonizzarci».

Dello stesso avviso non è però il Presidente francese Emmanuel Macron, che durante una visita nella capitale nel luglio scorso ha dichiarato «se l’indipendenza significa scegliere, domani, di avere una base cinese qui, buona fortuna! Questa non si chiama indipendenza»; egli ha quindi invitato gli indipendentisti a «guardare» i Paesi della regione che «hanno perso la loro sovranità», sollevando così la minaccia delle ambizioni cinesi in tutto il Pacifico.

In questo contesto si rileva come la determinazione francese affinché la Nuova Caledonia non cada sotto l’influenza cinese non si limiti al semplice sfruttamento del nichel, ma sia motivata anche dal considerevole interesse che questo territorio rappresenta nel quadro di una strategia indo-pacifica.

La Francia è stata infatti il primo paese europeo a rendere il termine “Indo-Pacifico” un concetto chiave della propria politica estera, come evidenziato dal Presidente Macron in occasione di una visita diplomatica in Australia nel 2018,  e a giungere all’elaborazione di una propria strategia indo-pacifica.

L’origine della strategia è da ricondursi ad una serie di mosse da parte cinese che hanno messo in allerta la Francia: dai pericoli posti alla libertà di navigazione nel Mare Cinese Meridionale a causa della prepotenza di Pechino nella zona, all’avvio della Belt and Road Initiative, fino all’istallazione di una base militare cinese a Gibuti nel 2017. Bisogna infatti considerare che la Francia legge tutti questi eventi dal punto di vista di chi detiene – e vuole tutelare – la seconda ZEE più estesa al mondo dopo quella degli Stati Uniti, in virtù di possedimenti d’oltremare sparsi tra l’Oceano Pacifico, l’Oceano Indiano e i Caraibi; nell’accezione francese, la strategia indo-pacifica è quindi una politica dell’Asia-Pacifico che tiene conto dei margini africani, mediorientali e latinoamericani degli oceani. 

Fonte: Atelier de cartographie, Sciences Po, 2021 | L’Indo-Pacifico visto dalla Francia.

In linea con la tradizione gollista di prospettarsi come terza via alternativa, la Francia cerca di presentarsi nell’Indo-Pacifico come una potenza di equilibrio rispetto alla tensione sino-americana. A questo riguardo si pone come una potenza di iniziativa nel Pacifico Meridionale, conducendo abitualmente esercitazioni militari congiunte e partecipando all’architettura securitaria della regione. Inoltre, è proprio su iniziativa francese che una strategia indo-pacifica europea è stata messa a punto.

Tuttavia, l’aspirazione della Francia di imporsi come potenza di equilibrio incontra almeno due impedimenti. Anzitutto, la sua capacità di azione nella regione è limitata se confrontata a quella di Cina e Stati Uniti; per questa ragione, la Francia deve puntare su una strategia europea che agisca complementariamente alla propria. L’Unione Europea potrebbe infatti far valere una strategia alternativa a quelle avanzate da Cina e Stati Uniti, puntando su valori aggiunti, quali la valorizzazione della sicurezza in termini economici e ambientali. Differentemente da quella dei suoi partner nella regione, Stati Uniti compresi, la strategia francese si distingue infatti per l’enfasi posta sulla necessità di proteggere l’ambiente; l’importanza attribuita all’urgenza di contrastare il cambiamento climatico – a cui gli stati insulari del Pacifico sono particolarmente esposti – scaturisce dalla volontà di mettersi al riparo da rischi strategici concreti, come possono essere quelli indotti dalle migrazioni climatiche, che all’interno dei Paesi del Pacifico hanno già scatenato conflitti tribali e messo a dura prova le risorse. D’altra parte, questo scenario di sinergia europea è ostacolato dalla mancanza di coerenza tra gli interessi indo-pacifici dei membri dell’Unione, il che rende piuttosto difficile per la Francia far valere la propria posizione. 

Aldilà di ciò, un secondo limite è riconducibile allo scarto esistente tra le ambizioni francesi e i mezzi impiegati per perseguirle. Ciò è evidenziato anche dal fatto che nessun Ministro degli Esteri francese ha mai effettuato visite ufficiali nelle altre isole del Pacifico, a differenza degli omologhi cinese Wang Yi, americano Antony Blinken e australiana Penny Wong, che hanno tutti intrapreso  tour diplomatici significativi nella regione negli ultimi anni.

Benché sempre alla ricerca della propria grandeur, la Francia da sola non ha sicuramente i mezzi per riequilibrare il sistema internazionale, ed è quindi auspicabile che ripensi la sua strategia per renderla più realistica. Un primo passo in questo senso è sicuramente quello di lavorare con le autorità della Nuova Caledonia, che vanta una posizione consolidata nella regione, come dimostra la sua partecipazione al Forum delle isole del Pacifico. Affinché un’effettiva collaborazione sia possibile è però prima necessario migliorare i rapporti tra la Nuova Caledonia e Parigi, superando una volta per tutte le tensioni legate alla richiesta di indipendenza. 

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