di Fabio Naca
Le nuove infrastrutture di Al-Soudani: da Al Faw al confine turco
Nemmeno un anno fa — era il maggio 2023 — il Primo Ministro iracheno Al-Soudani svelò al mondo il nuovo progetto a lungo termine del proprio Paese, destinato a vestire i panni del protagonista nella mobilità mediorientale nei decenni a venire. Presentandosi forte dell’appoggio di svariati attori principali nelle dinamiche regionali — tra i vari, partecipavano anche la Turchia e il Consiglio degli Stati del Golfo —, Al-Soudani ha annunciato il proprio piano d’azione, per la maggior parte orientato alla costruzione di una ferrovia e di una strada ad alta percorribilità dal Mar Arabico fino al confine turco, a partire dal quale la mobilità si snoderà infine verso l’Europa. Centrale nelle dinamiche del progetto era il ruolo assunto di quello che sarà il nuovo hub portuale iraqeno presso Al Faw — fulcro della Iraq Development Road (IDR), anche grazie alla dipartita da tale sito di oleodotti verso l’entroterra del Paese. Proprio in merito allo sviluppo del porto di Al Faw, all’inizio di aprile 2024 è stata annunciata la nascita di una joint venture guidata dal gruppo AD Ports e dalla Compagnia Generale dei Porti dell’Iraq.

Come visibile nell’illustrazione grafica di cui sopra, la direttrice principale del progetto procede sull’asse Al Faw–Turchia, toccando la maggior parte dei punti strategici salienti in terra irachena. Ciò detto, è altrettanto notevole la quantità di deviazioni secondarie e terziarie che, partendo dall’infrastruttura principale, andranno a intersecarsi sui viatici verso l’Arabia Saudita, la Giordania, la Siria e l’Iran, non casualmente attori protagonisti nella nascita dell’IDR.
Il porto di Al Faw: Il progetto-bandiera del governo Al-Soudani
L’attuale primo ministro iracheno — Mohammed Shia al-Soudani — prese le redini del Paese nel 2022 in seguito a Mustafa al-Kadhimi, identificando sin da subito la propria attività governativa nel progetto portuale ad Al Faw. Bisogna tuttavia ricordare come tale realizzazione fosse stata già postulata nel 2003, oltre al fatto che buona parte dei contratti più prolifici inerenti all’hub sul Mare Arabico siano stati siglati ben prima dell’avvento di Al-Soudani, inclusa la cooperazione con il colosso coreano Daewoo per buona parte delle infrastrutture in loco.

Ciò detto, il merito principale che si può riconoscere all’attuale primo ministro iracheno è il sentore di necessità donato dalla sua comunicazione al progetto di Al Faw, ritenuto talmente centrale nelle dinamiche di crescita del proprio Paese da parlare dell’intero IDR — progetto dal valore complessivo di USD 17 miliardi — come di un’appendice necessaria al porto di Al Faw, piuttosto che affermare il contrario. Nonostante l’apparente illogicità, sono rintracciabili diversi argomenti a supporto della posizione di Al-Soudani. Tra le varie motivazioni spendibili in tal senso, due appaiono essere le principali, entrambe fortemente legate alle dinamiche di commercio regionale e mondiale. Infatti, attraverso il terminale di Al Faw, l’Iraq si porrebbe irrimediabilmente come protagonista dei flussi cargo sulla tratta euro-asiatica dell’Oceano Indiano, poiché favorirebbe non solo un punto di sfogo terrestre più prossimo di Grecia o Italia verso l’Europa, ma anche perché permetterebbe a Baghdad di presentarsi come attore plenipotenziario al fianco dell’Egitto nel commercio del MENA, dacché il Canale di Suez verrebbe sostanzialmente supportato nella ricezione dei flussi commerciali dall’hub di Al Faw.
Il ruolo dell’IRD nelle relazioni internazionali di Baghdad
Appena qualche giorno fa, il 22 aprile scorso, delegazioni provenienti da Ankara, Doha e Abu Dhabi si sono riunite a Baghdad, ospiti del primo ministro Al-Soudani, per firmare l’accordo preliminare sull’intero progetto. Le motivazioni alla base dei particolari contorni di questo tavolo mediorientale sono presto rintracciabili nelle dinamiche stesse di questa nuova infrastruttura. In questo contesto, è infatti fondamentale ricordare come — prima del 22 aprile — Erdogan avesse messo piede a Baghdad l’ultima volta addirittura nel 2011. Durante la sessione più recente, Turchia e Iraq hanno comunque tratto profitto dalla riunione dedicata all’IDR per siglare ben 24 memoranda d’intesa, ben distribuiti su diversi fronti — dall’economia alla sicurezza, passando per la sanità e l’educazione. Integrali all’accordo sono anche stati gli altri due Paesi coinvolti, ossia Qatar ed Emirati Arabi Uniti, i cui plenipotenziari hanno egualmente siglato la propria partecipazione ai progetti principali e secondari dell’IDR.
Centrale nei dialoghi tra Ankara e Baghdad è la questione curda, che ha tenuto banco per due motivi principali. Da una parte, Erdogan ha rinnovato la propria intenzione di eradicare la presenza del PKK — il partito curdo dei lavoratori turco — dal proprio territorio, annunciando di aspettarsi un impegno da parte di Al-Soudani e della sua amministrazione nel contenere il più possibile i flussi di quelli che Ankara ritiene veri e propri terroristi. Dall’altra parte, la gestione della questione curda è stata altrettanto criticata dall’Iraq per quanto concerne la sconfinata influenza di Ankara nel commercio del petrolio dal governo regionale del Kurdistan — una regione semi-autonoma nel nord dell’Iraq. La Corte Penale Internazionale ha infatti riconosciuto a Baghdad il versamento — da parte turca — di una somma pari a USD 1,5 miliardi, frutto dei danni subiti dal governo iracheno in seguito al mancato versamento dei contributi sulla vendita del petrolio dalla regione semi-autonoma di cui sopra — commercio da cui la Turchia ha tratto invece enorme profitto.
Ancora da snodare è invece la questione legata alla potenziale sovrapposizione della IDR rispetto alle due proposte di Stati Uniti e Cina, ossia dello India–Middle East–Europe Economic Corridor di stampo americano e della Belt and Road Initiative sponsorizzata dalla Cina. Come visibile dalla grafica di cui sotto, la proposta del governo iracheno si presenta come del quasi totalmente scollegata dai progetti di Washington e Pechino, i quali non prevedono assolutamente incursioni in territorio iracheno, arrivando tuttalpiù a lambire le acque del Kuwait o i deserti di Arabia Saudita e Iran. Il supporto entusiasta di Ankara è quindi rivedibile in queste dinamiche, poiché appare praticamente impossibile la realizzazione della IDR senza il sostegno del governo Erdogan. Il desiderio di espansione commerciale e a livello di leverage politico da parte della Turchia è infatti sostanzialmente inscindibile dal destino del progetto di Baghdad, poiché la stessa Ankara — considerando anche l’implementazione della Belt and Road Initiative — verrebbe trovandosi al centro di tre snodi fondamentali del commercio terrestre tra Europa e Asia: (1) in primo luogo, avrebbe un accesso sostanzialmente diretto al Mare Arabico per mezzo di un’amicizia coltivata tra Erdogan e Al-Soudani, il che permetterebbe ai turchi di non dover ricorrere necessariamente al passaggio marittimo per Suez; (2) quindi, la grande direttrice ferroviaria tra Pechino e l’Europa passerebbe per gran parte in territorio anatolico, consentendo quindi ad Ankara di dettare le condizioni di passaggio; e infine (3) dedicando sempre maggiori attenzioni alla bretella Baku-Batumi, collegamento terrestre tra Mar Caspio e Mar Nero sempre della Nuova Via della Seta cinese, fondando il proprio potere d’azione nuovamente sul sistema di relazioni personali del Presidente Erdogan, questa volta forte dell’amicizia con la controparte azera Aliyev.
