di Fabio Naca

Sin da piccoli, è naturale associare il ruolo di protagonista nelle dinamiche di potere a Stati o a singoli attori che agiscono in loro rappresentanza. Una delle principali svolte portate in grembo dall’esuberanza del XX secolo è corrisposta con un fenomeno tanto visibile quanto superficialmente impercettibile, ossia l’emersione di personaggi fondamentali nelle dinamiche di controllo politico ed economico che, tuttavia, non detengono alcun potere formalmente definito. Ad esempio, rientrano nella categoria di quelli che nello studio delle relazioni internazionali vengono definiti come “attori non-statali” gruppi finanziari e bancari, le organizzazioni criminali, le formazioni terroristiche, i grandi imprenditori, e così via. Così come le sue compari malavitose di stampo camorrista o di affiliazione a Cosa Nostra, anche la ‘Ndrangheta pertiene alla categoria dei non-statali, avendo accresciuto il proprio potere nel corso degli ultimi cinque decenni fino a divenire l’unica organizzazione criminale nel mondo a essere presente ed operativa su tutti i continenti. Quello che segue è un articolo che si propone di risvegliare le coscienze collettive sull’importanza crescente — seppur poco pubblicizzata — che la ‘Ndrangheta riveste insieme ai suoi accoliti nel definire azioni e reazioni nella grande arena geopolitica, in questo caso limitata geograficamente al solo Oceano Atlantico e, tematicamente, solamente al traffico di stupefacenti. Alla fine, a trasparire sarà un inquietante quadro di corruzione, traffici illeciti, violenza multiforme e — soprattutto — indifferenza istituzionale in numerosi contesti nazionali.

La struttura gerarchico-organizzativa della ‘Ndrangheta si presenta secondo modalità differenti da quelle di Cosa Nostra, con le differenze principali raccolte intorno a due capisaldi. In primo luogo, la mafia siciliana si ramifica sul territorio attraverso un controllo geografico, con il livello più basso identificato nel mandamento, all’interno del quale si aggregano le famiglie e al di sopra del quale vanno delineandosi i sistemi provinciali. Al contrario, la ‘Ndrangheta è fondata prima di tutto sulle ‘ndrine, cioè le famiglie che — solitamente — dominano su un comune.

La seconda distinzione è quindi rinvenibile avvicinandosi ai vertici delle due organizzazioni. Se in Sicilia il ruolo della Commissione — volgarmente meglio nota come Cupola — assume i connotati di un vero e proprio regnante urbi et orbi, in Calabria la direzione del controllo mafioso è di tipo verticistico-orizzontale, che corrisponde di fatto a una maggiore libertà d’azione ai livelli più bassi della scala gerarchica.

La capacità della ‘Ndrangheta di limitare i danni nel corso dei decenni, ed essere quindi in grado di espandere il proprio potere in tutto il mondo, è presto identificabile in questi due elementi. In primo luogo, fondare l’intera esistenza dell’organizzazione sui legami di sangue, al contrario dei criteri geografici, rende molto più improbabile la collaborazione con lo Stato, anche considerando che la carica di capo ‘ndrina è trasmessa ereditariamente al primogenito. Quindi, al vertice della struttura ‘ndranghetista è assegnato un potere più conciliativo e meno asfissiante, il che presuppone una maggiore abilità nell’interagire con le unità inferiori e una capacità compromissoria certamente maggiore rispetto a quanto non accade tra le pareti di Cosa Nostra.

Questa ricerca ha inizio in Brasile, terra ricca di opportunità per gli investimenti delle ‘ndrine per due motivi. In prima battuta, questo Paese può vantare una linea costiera sterminata, costellata di numerosi bacini portuali che offrono una pressoché irripetibile opportunità di diversificazione delle rotte marittime. Inoltre, il Brasile condivide un’altrettanto lunga serie di confini terrestri con i principali Paesi produttori di cocaina al mondo, ossia Colombia, Ecuador e Perù — confini che godono della protezione naturale della Foresta Amazzonica, pressoché impossibile da scandagliare per le forze dell’ordine. Particolarmente importante in questa storia è il porto di Santos, città situata a una manciata di chilometri da San Paolo sulle coste dell’Atlantico e che rappresenta di fatto il centro del commercio navale del capoluogo paulista. Inoltre, Santos è tra i primi 50 porti al mondo in rapporto alla quantità di beni smerciati al suo interno, risultando addirittura il 2° hub marittimo più trafficato del Sud America dopo quello di Colón a Panama.

Fonte: InSight Crime | Nella rappresentazione grafica, è possibile riscontrare non solo i principali bacini di ricezione della cocaina in Europa, bensì anche la centralità del Brasile nel garantire un flusso costante di tale commercio grazie ai numerosi porti e alla sua location privilegiata rispetto ai Paesi produttori.

Oltre all’importanza che riveste nelle dinamiche di commercio della cocaina, Santos rappresenta uno dei luoghi prediletti dalla ‘Ndrangheta in Brasile in virtù degli ottimi rapporti intessuti dai calabresi con il Primeiro Comando da Capital (PCC), gruppo criminale nato nelle carceri di San Paolo all’inizio degli anni Novanta sul quale già Rocco Morabito – storico boss della ‘Ndrangheta – aveva posato gli occhi prima di essere arrestato, al fine di imbastire un commercio fondato sullo scambio di cocaina in direzione Europa e armi — probabilmente raccattate nel SE asiatico — dirette verso il Brasile.

Le mire ‘ndranghetiste — e soprattutto di Bartolo Bruzzaniti, vero protagonista nel continente africano — hanno anche lambito le coste dirimpettaie rispetto al Brasile, come visibile dalle annose penetrazioni dei calabresi in Costa d’Avorio e Guinea-Bissau, ossia due dei principali Paesi di smercio della cocaina nel corridoio dell’Africa occidentale, che da diversi anni accoglie i carichi provenienti proprio dal Brasile per intercettare i sospetti che le autorità doganali europee solitamente dirigono alle imbarcazioni direttamente procedenti dall’America Latina. A segnalare questo sviluppo in Africa è stata la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) nel 2022, affermando che “Negli ultimi anni anche alcune aree dell’Africa occidentale e, in particolare, la Costa d’Avorio, la Guinea-Bissau e il Ghana, sono divenute per le cosche di ‘ndrangheta uno snodo logistico sempre più strategico per i traffici di stupefacenti”.

Fonte: Global Initiative against Transnational Organized Crime | Nella grafica viene illustrato il totale dei sequestri di cocaina effettuati nei Paesi dell’Africa occidentale, punto di svolta nello smercio di stupefacenti provenienti dal Sud America e diretti in Europa. Come visibile, sia Costa d’Avorio sia Guinea Bissau permettono alla ‘Ndrangheta di contare su due basi logistiche pressoché equidistanti dal Brasile, eppure diversificate nelle successive rotte terrestri — o marittime — che partiranno in direzione del Vecchio Continente.

In seguito alla caduta dei grandi narcotrafficanti di Medellín e Cali tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, due organizzazioni paramilitari presero le redini della produzione e dello smercio di cocaina in Colombia. Da una parte, le FARC (let. Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) furono in grado di trainare questa economia fino al 2016, quando le forze filo-marxiste siglarono un accordo di smobilitazione con il governo di Bogotà. Dall’altra parte, le AUC (let. Autodefensas Unidas de Colombia) — già note per aver preso parte attiva nel contrasto ai grandi cartelli narcos — continuarono sul proprio viatico di violenza paramilitare finanziando le proprie attività con il commercio di cocaina. Esattamente come le FARC, anche le AUC hanno concordato la deposizione delle armi con il governo colombiano già nel 2006.

Dal punto di vista della ‘Ndrangheta, sia le FARC sia le AUC furono fondamentali nell’ottenere un posto di rilievo al tavolo delle trattative sulla produzione di cocaina. Non è pertanto casuale ritrovare proprio tracce delle ‘ndrine nella giungla colombiana ancora oggi, come dimostrato dalla fitta rete di rapporti intrattenuti con le AGC (let. Autodefensas Gaitanistas de Colombia), altrimenti conosciute come Urabeños o ancora Clan del Golfo, in quanto principalmente attivi nei pressi del golfo di Urabá, insenatura naturale sita nel nord del Paese al confine con Panama.

Fonte: García-Valencia in Quiceno Quartas et al. (2015), “Estado del arte de la investigación en ecología de zonas costeras en la región de Urabá. Herramienta para la participación y apropiación del conocimiento por parte de la Comunidad” |  Suddivisioni politiche nei pressi del Golfo di Urabá.

Infatti, le AGC nascono sotto la spinta di coloro che — prima impiegati nelle AUC — non si trovarono d’accordo con la decisione di deporre le armi, divenendo di fatto il punto di riferimento in loro sostituzione anche nel narcotraffico. Inoltre, grazie alla smobilitazione delle AUC, le stesse FARC — che rimasero ancora per un decennio leader nello smercio di cocaina in Colombia — presero a intrattenere una fitta rete di affari con il Clan del Golfo, che crebbero sempre più fino a divenire il punto di riferimento a livello nazionale nel 2016.

Nella zona del golfo di Urabá, le trame del narcotraffico si intersecano in maniera evidente con l’economia locale, anche per quanto riguarda i colossi. Qualche mese fa, le autorità italiane sono state in grado di ricostruire il percorso di due container carichi di cocaina sequestrati a Gioia Tauro nel 2019, in parte grazie alla decrittazione di alcuni messaggi scambiati proprio dal ‘ndranghetista Bruzzaniti — protagonista in Costa d’Avorio — e il camorrista Raffaele Imperiale. Nella chat, il primo affermava di aver trovato il modo di spedire in Europa i carichi di droga direttamente dalla Colombia, e questa copertura risale direttamente alla Banacol, ossia la quarta compagnia con maggiore export di banane del Paese. Più recentemente, le autorità giudiziarie di Bogotá hanno affermato di essere venuti a conoscenza di traffici di cocaina nei container della Banacol già dal 2014, a riprova della copertura che i barcos bananeros sono in grado di garantire al narcotraffico nei porti europei.

L’ultima regione esplorata in questa trattazione è quella messicana, ormai al centro del narcotraffico e della narcoviolenza da diversi decenni, dapprima in qualità di trampolino per gli stupefacenti dal Sud America, e poi — dall’inizio degli anni Novanta — produttrice ed esportatrice di droga in tutto il mondo. In questo contesto, la ‘Ndrangheta è sempre riuscita ad insinuarsi tra le fronde più fitte del tessuto socio-economico sommerso in mano alle organizzazioni messicane, essendo in grado di intessere rapporti sempre più stretti con le principali bande criminali legate al traffico di droga nel Paese. Un chiaro esempio in tal senso è rappresentato dai legami con Los Zetas, tra le fazioni più sanguinarie al mondo in quanto formata prevalentemente da sicari ed ex-militari, ossia professionisti nell’arte della violenza armata e non.

Ad emergere negli ultimi anni è stato il Cartel de Jalisco Nueva Generación (CJNG), come più volte sottolineato anche dalla magistratura italiana e specialmente nelle parole dell’ex-procuratore capo di Catanzaro — e oggi attivo a Napoli — Nicola Gratteri. Pur riconoscendo l’importanza rivestita dal cartello nelle dinamiche di traffico e contrabbando di stupefacenti — fuori dall’ordinario non già nella vendita di cocaina e marijuana, bensì in virtù dei molti traffici con la ‘Ndrangheta per quanto riguarda lo smercio di droghe sintetiche —, è proprio lo stesso Gratteri ad aver centrato negli anni scorsi il punto del discorso, deducibile dal suo discorso di cui sotto.

Negli ultimi anni abbiamo notato che le organizzazioni criminali terroristiche messicane somigliano sempre più alla ‘ndrangheta. Mentre prima i cartelli messicani s’interessavano solo all’acquisto e alla distribuzione della cocaina all’ingrosso, oggi le organizzazioni messicane hanno mutuato dalla ’ndrangheta il controllo del territorio. Incidono e interferiscono insomma sugli scambi commerciali, sull’economia, sul potere e anche sulla politica e sul sistema elettorale”.

Molto altro si potrebbe aggiungere nel descrivere i traffici delle organizzazioni malavitose italiane nell’Oceano Atlantico e nel resto del mondo. Nel trarre le conclusioni da questo articolo, il punto che si desidera far emergere con forza riguarda la maestria con cui la ‘Ndrangheta si è incuneata nelle trame economico-politiche e socio-culturali di una vasta gamma di Paesi, tanto lontani sulle cartine geografiche quanto vicini nel destino condiviso sotto il marchio delle ‘ndrine. Che sia in Brasile, Costa d’Avorio, Colombia o Messico, gli uomini della mafia calabrese sono stati e continuano ad essere in grado di esportare molto più di un modello economico, in quanto il loro stile di vita è ben più consono al vestito dettagliato fatto emergere dal Procuratore Gratteri che non piuttosto da mere analisi legate al solo denaro.

Dal punto di vista delle relazioni internazionali, la ‘Ndrangheta rappresenta uno degli esempi più lampanti della crescente importanza degli attori non-statali sullo scacchiere anarchico che è il mondo. Da una parte, essa si dimostra in grado di intessere rapporti e favorire la crescita di organizzazioni criminali tutt’altro che sommerse, come per esempio visibile nel caso del CJNG, del PCC o ancora delle AGC. Dall’altro lato, la continua rincorsa giuridica ed economica di un largo numero di Stati — costantemente alle calcagna della ‘Ndrangheta, eppure mai in grado di stanare definitivamente questo intruso — si erge a dimostrazione di come sia oramai impossibile per qualsivoglia Paese ignorare l’importanza che gli individui e le loro reti sociali esercitano sul cambiamento del mondo.

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