di Matteo Anfurio
Introduzione
In poco più di una manciata d’anni il Qatar, sotto la guida dell’abile emiro Hamad Al Thani, padre dell’attuale sovrano qatariota, si è trasformato in una vera e propria potenza diplomatica. Grazie alle proprie risorse energetiche (petrolio e GNL) e all’impiego di strumenti di soft power, Doha si è imposta sulla scena regionale mediorientale come il mediatore per eccellenza — la parte fondamentale che desidera giocare un ruolo da protagonista, allo scopo di facilitare l’incontro tra le parti in conflitto, in tutte (o quasi) le situazioni di crisi in cui queste faticano ad instaurare un dialogo proficuo l’una con l’altra. Il continuo successo in queste missioni internazionali ha portato il Qatar ad ampliare i propri orizzonti e a ricercare affermazione anche in aree più distanti dal Golfo Persico, la naturale sede della sua azione diplomatica.
Il rapporto con gli Stati Uniti
Il presidente statunitense Joe Biden, in un discorso del febbraio 2021 riguardante “il posto nel mondo degli Stati Uniti”, aveva sostenuto in modo chiaro che “the message I want the world to hear today: America is back. America is back. Diplomacy is back at the center of our foreign policy”.
Alla base dell’attività diplomatica nella presidenza Biden ha quindi assunto un ruolo di primo rilievo il principio del “Diplomacy first”, dando un rinnovato slancio all’impegno internazionalista degli Stati Uniti, in seguito ad un momento nel quale il suo predecessore, Donald Trump, aveva adottato una più radicale politica di “ritiro” (o “Withdrawal Doctrine”) da diverse organizzazioni e summit internazionali. In questo modo, Washington ha chiamato a raccolta vecchi e nuovi partner internazionali per dare nuova linfa all’intricata e tentacolare tela diplomatica americana, estesa su tutto il globo, e per far sì che gli elevati costi e gli sforzi dell’egemonia globale venissero suddivisi in maniera tale da non farli ricadere solo sulle tasche di “zio Sam”.
Uno di questi partner — tra i più recenti — è proprio il Qatar. I commenti e le dichiarazioni stampa ne elogiano le iniziative diplomatiche, considerandolo sempre più un “partner regionale fondamentale, integrale ed insostituibile”, come ha fatto sapere il vice portavoce del Dipartimento di Stato americano Vedant Patel, rispondendo ad una domanda a proposito di una precedente dichiarazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, in cui questi affermava che gli sforzi di mediazione di Doha erano “problematici”, data la sua vicinanza storica con Hamas.
Nel corso degli anni, Stati Uniti e Qatar hanno raggiunto diversi accordi, i più dei quali di natura militare, con l’ultimo che si è perfezionato proprio all’inizio del 2024. Viene riportato infatti dalla CNN che Washington ha confermato la propria presenza in Qatar per altri 10 anni nella base aerea di Al Udeid, la più grande base militare statunitense in Medio Oriente situata nel deserto a sudovest di Doha, in grado di ospitare fino a 10.000 tra soldati e personale civile americani, e che dimostra la ormai grande vicinanza tra i due Paesi.

Gli Accordi di Doha e i contatti con Kabul
Importante è il ruolo che Doha ha ricoperto nella crisi afghana che si è aperta dopo la ritirata americana da Kabul nel 2021, in quanto il Qatar è rimasto — e rimane tuttora — uno dei pochi Paesi al mondo ad aver mantenuto aperta la propria ambasciata nella capitale afghana — e con essa un canale diplomatico con l’Emirato Islamico dell’Afghanistan a guida talebana —, rappresentando ufficialmente, oltre ai propri, anche gli interessi statunitensi. A dimostrazione dell’importanza del piccolo Stato del Golfo Persico, Doha è stata la sede dell’importante “Agreement for Bringing Peace to Afghanistan”, accordo firmato e ratificato dagli Stati Uniti e dalla rappresentanza talebana il 29 febbraio 2020, entrambi affiancati in tutte le fasi da mediatori qatarioti. Dopo la fuoriuscita degli USA dal Paese, il Qatar ha avuto un ruolo cruciale anche per quanto riguarda le evacuazioni di civili verso l’esterno, con il 40% degli evacuati che sono transitati sul loro territorio.
I contatti tra Afghanistan e Qatar non si sono comunque interrotti dopo gli “accordi di pace” tra l’autorità talebana e quella statunitense. Infatti, Hibatullah Akhunzada, leader supremo talebano, e Mohammed bin Abdulrahman al Thani, Primo Ministro e Ministro degli Esteri, si sono incontrati nel maggio scorso a Kandahar, nel sud dell’Afghanistan; sfortunatamente i termini dell’incontro sono rimasti segreti, ma alcuni analisti ritengono si sia discusso della postura isolazionista che i talebani hanno deciso di adottare dal 15 agosto 2021. L’approccio energico del primo ministro qatariota si basa sulla convinzione che il disimpegno della comunità internazionale nei confronti dell’Emirato Islamico possa produrre uno stato di vuoto e di caos nella regione, già altamente instabile. In questa occasione, quindi, il Qatar si è fatto “portavoce” delle istanze talebane e ha cercato la riammissione dell’Emirato afghano nella comunità internazionale, che tarda a causa del non impegno talebano a seguire le richieste della stessa comunità, in particolare in relazione alla protezione dei diritti umani e dei diritti delle donne.

Gli ostaggi-bambini nel conflitto russo–ucraino
Anche nel conflitto russo–ucraino, il Qatar sta ancora svolgendo un’importante opera di mediazione, in particolare in relazione al rilascio di ostaggi ucraini rapiti dai soldati russi. Verso la fine del 2023 la notizia della rimessione in libertà di quattro bambini ucraini presi in ostaggio dai russi ha segnato una rara svolta diplomatica ed un inaspettato episodio distensivo tra Kyiv e Mosca. Anche se l’Ucraina contesta la deportazione di poco più di 19.000 bambini ucraini in Russia dall’inizio del conflitto, la notizia ha fatto ben sperare in un’apertura tra le parti ed ha accresciuto allo stesso momento il potenziale negoziale qatariota.
Questo traguardo è stato raggiunto grazie alla shuttle diplomacy (ovvero l’azione di un intermediario, solitamente un personaggio eminente ed importante, tra due parti in conflitto che non hanno alcuna intenzione di dialogare direttamente) proposta ed attuata dal ministro Mohammed al-Thani durante l’estate del 2023 e durato diversi mesi, facendo sponda continuamente tra Kyiv e Mosca.
I minori, grazie all’intervento qatariota, furono ospitati all’ambasciata di Doha nella capitale russa e riportati in Ucraina utilizzando diversi mezzi di trasporto, ma sempre accompagnati da personale diplomatico appartenente a Doha. Prontamente, Al Jazeera fece rimbalzare la notizia su tutti i propri canali radiotelevisivi, enfatizzando come il ruolo del Qatar nei negoziati fosse stato richiesto esplicitamente dal governo ucraino, dimostrando che l’abilità di Doha in questioni diplomatiche sia ormai riconosciuta anche al di fuori del mondo arabo sunnita, diventando un vero e proprio “global diplomacy hub”.

Il ruolo nella guerra israelo–palestinese
All’alba dello scoppio della guerra israelo–palestinese, in un comunicato stampa pubblicato su X, il Ministro degli Affari Esteri qatariota ha fatto sapere che il piccolo Stato del Golfo si diceva profondamente preoccupato per la piega degli eventi nella Striscia di Gaza all’indomani del fatidico 7 ottobre 2023, ricordando che Doha ritiene Israele il solo responsabile dell’escalation in atto (in seguito alla perdurante occupazione illegittima della Palestina), ribadendo inoltre la propria “ferma posizione” per la giustizia nei confronti del popolo palestinese, in nome del loro rapporto fraterno.
Doha si trova in una posizione ambigua nel conflitto israelo–palestinese in quanto è da considerarsi una “seconda casa” per i dirigenti di Hamas; il governo qatariota ha infatti respinto recentemente le richieste di chiudere l’ufficio politico di Hamas presente nella Penisola, in quanto si è detto intenzionato a facilitare i rapporti tra i due attori in guerra.
Il Qatar ospita dal 2012 un ufficio politico di Hamas, permettendo a questo “movimento della resistenza islamica” di avere un certo grado di influenza sui militanti arabi di Gaza. A quanto pare, la domanda di aprire un ufficio a Doha nacque da una richiesta dell’Amministrazione Obama nel tentativo di tenere aperte le comunicazioni con il movimento palestinese, così come è accaduto con i talebani afghani. Il Qatar ha fatto sapere che l’ufficio politico di Hamas a Doha rimarrà aperto fino a quando potrà essere utilizzato per raggiungere la pace tra Israele e Palestina.
Oltre ad aver dato una base politica ad Hamas, dove i suoi leader possono pianificare e discutere assieme ai loro main sponsor iraniani, il Qatar finanzia la sua burocrazia interna e rifornisce annualmente il movimento palestinese con milioni di dollari, nella cornice dell’aiuto umanitario della popolazione della Striscia di Gaza. Il temporaneo cessate-il-fuoco e la riuscita liberazione degli ostaggi lo scorso novembre, ha fatto in modo che il Qatar diventasse a tutti gli effetti il mediatore preferito da Washington nell’area mediorientale e nella comunicazione con gruppi estremisti.
Secondo un articolo pubblicato dal Wall Street Journal, si starebbe mettendo in moto, a Parigi, una macchina composta da Stati Uniti, Qatar ed Egitto per il rilascio di civili e ostaggi da entrambe le parti. Il piano consisterebbe in tre fasi da individuarsi in un lasso temporale di 90 giorni dal momento del proclamato cessate-il-fuoco.
La prima fase consisterebbe nel rilascio di tutti gli ostaggi civili israeliani in cambio di centinaia di detenuti palestinesi in Israele, unitamente ad un lento ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza, sotto la sorveglianza di droni, e all’invio di ulteriori aiuti umanitari. La seconda fase contemplerebbe il rilascio da parte di Hamas di alcuni soldati e soldatesse israeliane, in contemporanea ad alcuni detenuti palestinesi. L’ultima fase, infine, prevederebbe la liberazione di tutti i soldati israeliani e il completo dispiegamento dell’IDF (Israeli Defence Forces) al di fuori della Striscia di Gaza.

Quelli descritti sono solo alcuni episodi, ma anche quelli più rilevanti nel panorama internazionale, dell’azione diplomatica dell’Emirato qatariota nel corso degli anni. Esso, infatti, ha la chiara intenzione di presentarsi a livello internazionale come mediatore necessario per porre fine a crisi e tensioni sia nel proprio vicinato sia in zone più distanti geograficamente sia culturalmente. Il margine di manovra attualmente sembra molto ampio: più si aprono crisi sul versante mediorientale e più il potere diplomatico e negoziale del Qatar diventa influente. L’instabilità del Medio Oriente è stata una “palestra” per la diplomazia qatariota, che ha agito nel modo migliore per elevare la postura del piccolo Stato del Golfo e permettergli di affacciarsi su più grandi panorami internazionali.