di Matteo Anfurio
Introduzione
Il Qatar è un piccolo Stato peninsulare che si estende per poco più di undicimila chilometri quadrati, confinando esclusivamente con l’Arabia Saudita e affacciandosi sul Golfo Persico. Dalla sua indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1971, per molti anni il Paese arabo è passato inosservato ai radar della comunità internazionale, anche se possiede ricchi giacimenti di petrolio e vanta il primato di più grande esportatore di gas naturale liquefatto (GNL) al mondo; più recentemente, invece, è riuscito a guadagnarsi sempre più attenzione e visibilità. Dall’essere ritenuto internazionalmente, fino ai primi anni ’90, uno Stato altamente dipendente, sia economicamente sia politicamente, dai sauditi, il Qatar ha migliorato la propria postura internazionale, acquistando maggiore autonomia e facendo intendere di non essere sotto alcun controllo di Riyadh. Il Qatar, adesso, viene considerato da una grande maggioranza delle Nazioni uno Stato tanto piccolo quanto rilevante nel panorama internazionale, e la sua ottima trasformazione in campo negoziale l’ha portato ad essere uno dei più importanti mediatori in recenti conflitti e durante crisi internazionali e regionali.
La nascita di una potenza diplomatica
Dal 2007 in avanti, il Qatar è intervenuto in maniera attiva in diverse crisi, evitando che sorgessero situazioni e condizioni che avrebbero potuto sfociare in veri e propri conflitti internazionali e interni, principalmente nell’area araba, africana e medio-orientale: tra questi figurano Yemen, Libano, Eritrea, Sudan, Libia, Siria, Afghanistan, Ciad, Iran e, negli ultimi anni, anche Ucraina. Quella del Qatar di prendere parte a numerose missioni diplomatiche internazionali da protagonista non è una scelta come un’altra. Talvolta, questa “iperattività” sembra quasi dimostrare che si tratti di una questione di vitale importanza, dalla quale dipende la stessa esistenza del piccolo Emirato della penisola arabica. L’attivismo diplomatico assurge, quindi, a punto focale della foreign policy qatariota, insieme ovviamente alle più famose e già citate risorse energetiche, come il petrolio e il gas naturale.
Infatti, nella stessa costituzione del Qatar, entrata in vigore nel 2004, all’articolo 7 viene fatto cenno ai principi fondativi della politica estera del piccolo Stato del Golfo. Al primo comma viene individuato che “[l]a politica estera dello Stato si basa sul principio del rafforzamento della pace e della sicurezza internazionale, incoraggiando la risoluzione pacifica delle controversie internazionali” e in seguito, che il Qatar coopererà con le nazioni che amano la pace.
La Costituzione entra in vigore proprio nel periodo d’oro per la politica estera del Qatar, in seguito all’ascesa al potere dello sceicco Hamad bin Khalifa al-Thani, emiro qatarino e leader nazionale dal 1995 al 2013, il quale aderì, facendola propria, ad una diplomazia meno tradizionale ma più focalizzata su questioni come i (social) media, l’educazione, la cultura, il turismo e lo sport.

Una politica ambigua e controversa
Talvolta, la politica estera attuata dai diplomatici e dai leader qatarioti è stata descritta come ambigua e controversa. Per fare un esempio, si potrebbe fare riferimento al recente caso dei Mondiali di calcio avvenuti nel 2022 proprio a Doha e dintorni, che hanno fatto montare un’enorme ondata di critiche per la pratica dello sportwashing. Con sportwashing si intende lo sfruttamento dello sport, da parte di Stati e governi, principalmente appartenenti alla regione del Golfo Persico, per rendere moderna la propria immagine e far distogliere lo sguardo dalla pessima situazione nel proprio Paese, solitamente in riferimento ai diritti umani, attraverso l’acquisto di squadre sportive, l’organizzazione di eventi o la sponsorizzazione degli stessi. Lo sport è uno strumento molto importante nell’arena internazionale odierna, e una manifestazione come una Coppa del Mondo di per certo attrae folle di turisti, tifosi, sponsor e celebrità, riportando sicuramente un benefit non solo economico alle casse dello Stato ospite del più seguito evento sportivo al mondo.

Altri strumenti del soft power qatariota si possono individuare sicuramente nel campo dei finanziamenti esteri e in quello dell’informazione, come precedentemente accennato. Il Qatar svolge un ruolo attivo dal punto di vista religioso; l’organizzazione internazionale Qatar Charity, attiva nell’ambito delle donazioni e della beneficenza, ha finanziato 140 istituzioni religiosi tra Europa, Asia, Africa e America Latina promuovendo i valori dell’organizzazione internazionale dei Fratelli Musulmani attraverso donazioni e prestiti indirizzati verso le moschee di diversi Paesi, direttamente dai fondi della famiglia reale al-Thani. Non solo moschee, ma anche alcune università e aziende occidentali sono al centro della vasta opera qatariota focalizzata sul miglioramento delle proprie immagine e reputazione a livello internazionale. I maggiori Paesi coinvolti in questa opera multimiliardaria sono la Gran Bretagna (circa 40 miliardi di dollari investiti), Francia, Germania e Turchia; anche l’Italia figura tra gli Stati interessati dagli investimenti qatarioti (la somma ammonta intorno ai 10 miliardi di dollari).
Per quanto riguarda il campo dell’informazione, il Qatar si appoggia su quella che è a tutti gli effetti la più importante emittente radiotelevisiva all-news di tutto il Medio Oriente, ovvero Al Jazeera. Fondata nel 1996 dall’abile emiro Hamad al-Thani, infatti, essa continua ad essere di proprietà del governo qatariota, e quindi della famiglia reale, e viene spesso utilizzata come mezzo per contrastare le informazioni provenienti dai media di Paesi rivali come l’Arabia Saudita e l’Egitto, che a loro volta sfruttano i loro canali di informazione per peggiorare la visibilità qatariota. È uno strumento politico di controllo fondamentale per il Qatar in quanto il canale di informazione, attivo 24 ore su 24, serve circa 430 milioni di case in oltre 150 Stati ed è in grado di trasmettere la propria visione sugli avvenimenti più importanti che riguardano le aree dove Al Jazeera opera.

Un privilegio di non poco conto
Non solo diplomazia, ma anche l’hard power è nelle corde delle policies adottate dagli emiri qatarioti. Molti dei successi negoziali sono inoltre dovuti in gran parte al privilegio che il Qatar condivide con gli Stati Uniti d’America; il Paese arabo, il 10 marzo 2022, è infatti diventato Major Non-NATO Ally (MNNA), dopo aver dimostrato in diverse occasioni di essere un “partner affidabile e capace” per gli interessi statunitensi e in particolare per l’intera Alleanza atlantica nella regione. La nomina del Qatar a MNNA, per quanto concerne i partner situatisi nella penisola arabica, arriva solo dopo quella di Bahrain (2002) e Kuwait (2004), e porta con sé diversi benefici in campo militare ed economico. Gli accordi di amicizia e di intesa tra Doha e Washington, iniziati nel 1992 con la firma del Defense Cooperation Agreement, primo di una lunga lista di atti in campo militare e della difesa in particolar modo, durano da ormai 30 anni. Avere dalla propria parte un alleato così potente (anche se così distante) ha dato la possibilità al Qatar di muoversi più agevolmente nella difficile tela che è il Medio Oriente: la ribalta e lo sviluppo di Stati come Iran, Iraq, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che il più delle volte possiedono interessi confliggenti, rendono complicata la sopravvivenza di Paesi più piccoli ma che comunque vogliono sentirsi protagonisti nella regione nella quale vivono.

Negli ultimi decenni è stato possibile intravedere una tendenza molto particolare, cioè quella che riguarda la più alta capacità negoziale da parte di piccole ma avanzate potenze, che hanno la necessità di guadagnarsi la fiducia degli Stati più grandi e più potenti per poter sopravvivere nella giungla delle relazioni internazionali. Questi piccoli Stati diventano così key agent nei processi di mediazione e di raggiungimento della pace in crisi e conflitti in corso.
La volontà del Qatar di farsi sentire a livello regionale risiede anche nel fatto che il Medio Oriente è attualmente la zona con più conflitti intra- e interstatali al mondo. Il lavoro dell’emiro Hamad al-Thani ha permesso di trasformare il Qatar da un piccolo Stato e poco rilevante nel panorama internazionale in una potenza diplomatica non di seconda categoria, capace di mediare in diverse situazioni più o meno gravi, e che sicuramente avrebbero portato a dei risvolti non favorevoli nella regione, già martoriata e che di certo non necessita altri scontri. L’idea cardine della politica di al-Thani è consistita nel rimpiazzare l’Arabia Saudita dal ruolo di mediatore e di “parte fondamentale” nei negoziati e nelle trattative tra Occidente e mondo arabo sunnita e la ricerca di un riconoscimento internazionale, che è dato dal fatto di essere stato sempre all’ombra dei più grandi Arabia Saudita (ad ovest), Oman (a sud), Iran (a nord) ed Emirati Arabi Uniti (ad est).