di Pietro Cattaneo
Pensare a San Marino in un’ottica globale può risultare – quantomeno di primo acchito – piuttosto inusuale. Cosa potrà mai contare quel fazzoletto di terra arroccato tra la Romagna e le Marche in uno scenario internazionale come quello attuale, in cui sembra esserci spazio solo per gli attori più grandi e potenti? Molto più di quanto non si creda, in realtà. È proprio di qualche giorno fa, infatti, la notizia relativa al buon prosieguo dei negoziati tecnici relativi all’Accordo di associazione tra San Marino e Unione Europea, che potrebbe essere finalizzato già entro la fine dell’anno. Si tratta di una tappa di fondamentale importanza per entrambi gli attori: se dal punto di vista sammarinese il grande vantaggio è rappresentato dall’accesso al mercato unico europeo con una formula di perfetta equivalenza rispetto ai membri dell’Unione, per Bruxelles si concretizzerebbe l’opportunità di avvicinare considerevolmente a sé anche un microstato storicamente distante dalle politiche comunitarie e che – nel recente passato – aveva anche dimostrato una particolare vicinanza alla Russia, espressa tanto in contesti ufficiali quanto in determinate scelte di policy.
Per poter comprendere l’attuale collocazione nella comunità degli Stati del quinto Paese più piccolo al mondo, con particolare riguardo al contesto europeo, è necessario però ripercorrerne in breve la storia. San Marino è sempre stata una nazione particolarmente legata alla propria indipendenza, tanto politica quanto strategica. La tradizione in questo senso è antichissima e risalirebbe persino alle parole dello stesso fondatore, che sul letto di morte – nel lontano IV secolo! – avrebbe pronunciato le parole “relinquo vos liberos ab utroque homine”: vi lascio liberi da entrambi gli uomini, tanto dal papa quanto dall’imperatore.
Per preservare la sua libertas nel corso dei secoli, questo piccolo Stato ha compiuto la stragrande maggioranza delle proprie scelte geopolitiche in un’ottica di sopravvivenza, riassumibile nel motto “noti a noi, ignoti agli altri“. In questa logica, nell’età napoleonica, rifiutò persino la possibilità di espandersi e di ottenere uno sbocco sul mare, ritenuto certamente fonte di maggiori guadagni e di prestigio, ma – allo stesso tempo – foriero di grandi pericoli.
In seguito alle vicende risorgimentali, San Marino si trovò fin da subito a sviluppare una relazione particolarmente intensa e cordiale con il giovane Stato italiano. Quest’ultimo, pur riconoscendo la soggettività e l’indipendenza della Repubblica del Titano, agì de facto in sua tutela, con particolare riferimento all’ambito internazionale. Una simile posizione rimase in essere a lungo, come testimonia l’art. 1 della Convenzione italo-sammarinese di amicizia e buon vicinato, il più importante tra i numerosi patti e accordi che disciplinavano dettagliatamente i rapporti con Roma: in essa, infatti, la posizione dell’Italia nei confronti di San Marino si sintetizzava nel concetto di “amicizia protettrice“. Si trattava senz’altro di un vincolo particolarmente rilevante e limitante, che tuttavia non impedì alla classe dirigente sammarinese di tentare altri metodi per costruire in autonomia una rete nella comunità degli Stati. Uno dei più pragmatici e inusuali consisteva senza dubbio nella vendita di alcune onorificenze, una prassi che riscosse un discreto successo – soprattutto nella Francia di Napoleone III – e che si rivelò di grande utilità anche per rimpinguare le casse statali del Titano, in notevole difficoltà da tempo.
Solo con lo sviluppo dell’assetto internazionale successivo alla Seconda guerra mondiale, però, San Marino iniziò ad ampliare gradualmente il proprio margine di manovra in campo internazionale, prestando particolare attenzione alla dimensione europea già a partire dall’inizio del processo di integrazione, nei primi anni Sessanta. Lo status quo, tuttavia, non consentiva in quella fase una definizione dei rapporti tra San Marino e la Comunità Economica Europea: era necessaria una maggiore autonomia della piccola Repubblica, che fu raggiunta de facto solo nel 1971, con l’abrogazione del citato art. 1 della Convenzione di amicizia e buon vicinato.
Venuta meno l'”amicizia protettrice” italiana, San Marino ottenne, quantomeno sulla carta, una libertà d’azione pressoché completa. In concreto, però, la situazione era certamente più complessa e sfaccettata, tanto che – rimanendo in ambito europeo – furono necessari più di trent’anni per l’elaborazione e l’entrata in vigore un Accordo di Cooperazione e Unione Doganale con l’Unione Europea (aprile 2002). I motivi di questa particolare lentezza erano molteplici: alcuni avevano carattere esogeno – i negoziati tecnici e la stesura dell’accordo, ad esempio, si collocarono a cavallo di un periodo particolarmente intenso e ricco di mutamenti nella struttura istituzionale europea – mentre altri erano attribuibili a cause di tipo endogeno, relativi in particolare ai limiti e alle condizioni della complessa legislazione commerciale e doganale che nel corso degli anni era stata stipulata con l’Italia.
Lasciando momentaneamente da parte il contesto continentale, viene spontaneo chiedersi quale fosse – e quale sia tuttora – l’atteggiamento di San Marino in un ambito squisitamente globale.
L’adesione alle principali organizzazioni multilaterali – come è possibile intuire – avvenne relativamente tardi e, contestualmente allo sviluppo delle relazioni con Bruxelles, si concretizzò solo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Fu in questi contesti che, per la prima volta nella sua storia, la Repubblica sammarinese – consapevole della necessità di inserirsi pienamente all’interno della comunità degli Stati – ebbe occasione di tessere compiutamente e autonomamente la rete dei propri rapporti internazionali, rimanendo fedele al principio di neutralità e, occasionalmente, smarcandosi dalle scelte e dalle posizioni dei suoi tradizionali interlocutori, Italia inclusa. Ciò che nel corso degli anni ha attirato l’attenzione e le critiche di numerosi Paesi occidentali, in particolare, è stata – come già accennato poc’anzi – la relazione di particolare amicizia e vicinanza con Mosca. Quest’ultima si è concretizzata attraverso numerose e frequenti visite ufficiali, un’intensa promozione turistica e uno stretto legame economico, ma anche grazie a decisioni dal grande peso politico: una di queste fu senza dubbio la scelta di non allinearsi all’Unione Europea nelle sanzioni contro la Russia all’indomani dell’annessione della Crimea, nel 2014.
Alla luce di quanto esposto, dunque, non stupisce dunque la particolare attenzione con cui Bruxelles ha guardato a San Marino, considerata una vera e propria “mina vagante” nel corso degli ultimi anni. Con l’invasione dell’Ucraina, però, si ha avuto un vero e proprio cambio di paradigma nella politica della Repubblica del Titano: il Consiglio Grande e Generale – così si chiama il Parlamento monocamerale – ha votato all’unanimità varie sanzioni economiche e commerciali nei confronti della Russia, che ha prontamente ricambiato inserendo l’ormai ex storico amico nella lista dei Paesi ostili. Questo nuovo atteggiamento è stato subito colto e caldeggiato dall’Unione Europea, che – sfruttando politicamente la circostanza favorevole e in una chiara logica di do ut des – ha accelerato notevolmente le tempistiche dei negoziati per l’Accordo di associazione con San Marino. Tutto ciò ha causato non poche polemiche all’interno del piccolo Stato, ma la linea dei decisori è per ora ferma e irrevocabile, tanto che un’istanza a favore della revoca delle sanzioni – discussa lo scorso settembre – è stata respinta con fermezza. A cosa è dovuto questo improvviso mutamento nelle politiche della piccola nazione romagnola? Luca Beccari, Segretario di Stato agli Esteri della Repubblica, ha dichiarato che «non potevamo restare indifferenti […] ci siamo schierati a difesa di un principio non negoziabile: il diritto di uno Stato di mantenere la propria integrità territoriale». Ma si tratta davvero di una pura questione di principio? Il rispetto puntuale delle norme internazionali riveste senz’altro una grande importanza nella storia e nella narrazione politica sammarinese, ma è altrettanto vero che in questo momento – preso atto dell’isolamento economico e commerciale in cui versa Mosca – una vicinanza all’Europa costituisce una scelta pressoché obbligata in termini economici e commerciali: solo la piena integrazione nel mercato comune allargherebbe considerevolmente le prospettive finanziarie della Repubblica. Si tratta quindi di una scelta in cui la Realpolitik ha grande voce in capitolo – e che San Marino ha tutto l’interesse di finalizzare nel più breve tempo