di Arianna Beltrame
“Esiste un piano criminale per modificare la composizione del paesaggio demografico in Tunisia e alcuni individui hanno ricevuto ingenti somme di denaro per dare la residenza ai migranti subsahariani”. Con queste dichiarazioni a fine febbraio il Presidente tunisino Kais Saied ha dato voce a discorsi razzisti e di odio che affollavano il panorama tunisimo da qualche tempo. Nelle ultime settimane la Tunisia si è trovata ad affrontare una nuova crisi, sia sul fronte interno sia sul piano dei rapporti diplomatici con i Paesi di origine dei migranti. Tuttavia, il razzismo non è l’unico elemento di destabilizzazione presente nel Paese, che si trova ad affrontare l’ipotesi di un default economico e, allo stesso tempo, una crisi politica interna che vede nel Presidente Saied una fonte di instabilità. Questi elementi vanno considerati con ordine per comprendere a fondo lo stato in cui versa la Repubblica tunisina.
La presidenza Saied
Per un decennio, l’esperienza tunisina è stata vista come un successo. La Primavera araba sembrava aver trovato terreno fertile per la nascita di uno stato democratico, in contrasto con le guerre civili e le contro-rivoluzioni autocratiche che hanno scosso gli altri Paesi della regione. Tuttavia, a partire dall’elezione di Saied nel 2019, la Tunisia ha dovuto affrontare diversi momenti di difficoltà. In quel frangente, l’ex professore di diritto costituzionale era l’outsider che rispondeva alla frustrazione degli elettori tunisini nei confronti della classe politica. Negli anni successivi alla sue elezione, Saied non ha attuato alcuna riforma volta ad affrontare i problemi strutturali dell’economia tunisina, primo fra tutti quel “crony capitalism” responsabile del soffocamento dell’imprenditorialità e dello scoraggiamento degli investimenti diretti esteri.
Al contrario, un campo in cui il nuovo presidente ha agito largamente è stato quello politico. In primo luogo, nel luglio 2021 ha avuto inizio quello che è stato definito un “golpe in slow-motion”: il primo ministro di allora è stato allontanato, il parlamento è stato sciolto ed è iniziato un governo per decreto reso possibile dalla promulgazione di protocolli di emergenza. Ad un anno da questa prima prova di forza, nel luglio 2022 Saied ha indetto un referendum che chiedeva l’approvazione di una nuova costituzione. Approvata con un tasso di partecipazione inferiore al 30%, la nuova costituzione ha accentrato molti poteri nelle mani del presidente, non da ultimo quello relativo alla nomina dei giudici. Queste misure sono state giustificate con l’intento di riscattare il sistema da un presunto stato di corruzione ed inefficacia.
Non tutti i cittadini tunisini hanno accolto le spiegazioni di Saied, tanto che nelle ultime elezioni parlamentari, tenutesi tra dicembre 2022 e inizio 2023, l’affluenza ha raggiunto solo il 10% degli aventi diritto. Diversi esperti hanno segnalato il disincanto di una società tunisina messa in ginocchio dalla crisi economica aggravata dalla pandemia. Al fermento, al dissenso e alle proteste avvenute nei primi mesi del 2023, il Presidente Saied ha risposto con una massiccia campagna di arresti che hanno colpito soprattutto politici, giudici e figure mediatiche.

La crisi economica e il FMI
L’economia tunisina è in particolare difficoltà dall’inizio della pandemia da Covid-19 e nell’ultimo anno ha visto un aumento dell’inflazione come conseguenza della guerra in Ucraina. Sul fronte economico Saied ha scelto di affidarsi ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale. In ottobre è stato raggiunto un primo accordo “staff-level” tra il personale del FMI e le autorità tunisine al fine di supportare le politiche economiche della Tunisia nell’ambito dell’Extended Fund Facility: l’accordo sarebbe di 48 mesi e di circa 1,9 miliardi di dollari. Tuttavia il prestito non è ancora stato effettuato, dal momento che la Tunisia dovrebbe soddisfare alcuni requisiti imposti dal Fondo in termini di riforme. È quest’ultimo l’elemento critico della soluzione individuata da Saied. Il governo di Saied si sta preparando ad attuare nuove misure di austerità, tra le quali probabilmente ci saranno l’eliminazione dei sussidi per il cibo e il carburante, il taglio della spesa pubblica (in particolar modo per la sanità, l’istruzione e la protezione sociale) e la privatizzazione delle principali aziende pubbliche.
Allo stesso tempo, per quanto le politiche di austerità risultino impopolari tra la società tunisina, il mancato raggiungimento degli obiettivi imposti dal Fondo e il mancato prestito che ne conseguirebbe rappresentano grandi rischi per la stabilità economica, finanziaria, ma anche politica, del Paese. Il ritardo nel prestito, secondo Fitch Ratings, comporta già un rischio di insolvenza per le banche tunisine. Ciò potrebbe avvenire in vista di una sempre maggiore dipendenza del governo nei confronti dei prestiti interni.
La teoria della “grande sostituzione” in chiave tunisina
È in questo contesto di profonda crisi che, il 21 febbraio, il Presidente tunisino ha fatto la sopracitata dichiarazione in merito ai migranti. Inoltre, in occasione di un consiglio di sicurezza nazionale convocato sul tema, Saied ha affermato che l’immigrazione proveniente dai Paesi a Sud del Sahara sarebbe espressione di una “volontà di rendere la Tunisia solo un altro Paese africano e non un membro del mondo arabo e islamico”. Per molti osservatori, la tesi di Saied su un complotto per cambiare la composizione razziale del Paese ricorda la teoria della Grande Sostituzione, una narrativa popolare nel linguaggio delle destre e del suprematismo bianco in Europa e in Nord America. In questo contesto le élite sono accusate di utilizzare l’immigrazione per sostituire la popolazione nativa.
Gli stranieri subsahariani presenti in Tunisia sono da anni oggetto di sporadiche aggressioni razziste da parte dei tunisini. Il 16 febbraio, prima delle dichiarazioni del Presidente Saied, diverse organizzazioni tunisine per i diritti umani avevano denunciato l’arresto di 300 migranti in una sola settimana. Secondo queste organizzazioni gli arresti sarebbero avvenuti in seguito a controlli sulle identità basati su tecniche di profilazione di tipo razziale. Le parole di Saied hanno così alimentato comportamenti già presenti sia tra le forze di polizia sia tra parte della società tunisina. In particolar modo, a seguito di queste dichiarazioni, i migranti presenti nel Paese hanno riferito di aver subito attacchi razzisti, sfratti, licenziamenti e trattamenti disumanizzanti da parte delle autorità. In molti si sono accampati davanti alle ambasciate o alle agenzie delle Nazioni Unite.
Nonostante i tentativi del Presidente di negare il carattere razzista delle sue dichiarazioni, le reazioni e le condanne sono presto arrivate, in primo luogo, dalla società civile. A partire da fine febbraio, infatti, in moltissimi sono scesi in strada per sostenere i migranti e protestare contro Saied, il governo e quella parte di società civile che ha scelto di abbracciare l’ideologia razzista delle loro dichiarazioni. Inoltre, non mancano le denunce di esponenti di organizzazioni per la tutela dei diritti umani. Tra gli altri, Ahmed Benchemsi, advocacy director per il Medio Oriente e il Nord Africa di Human Rights Watch, ha denunciato che i fermi e gli arresti vengono svolti in modo indiscriminato, a volte senza un controllo effettivo dello stato legale della persona, contraddicendo così l’idea secondo la quale il governo si starebbe occupando solo dei migranti illegali.
Anche dall’Unione Africana sono pervenute delle critiche, tanto che il presidente della Commissione Moussa Faki Mahamat ha condannato la “scioccante” dichiarazione rilasciata dalle autorità tunisine che andrebbe contro lo spirito e i principi dell’Organizzazione. Inoltre, l’UA ha rinviato una conferenza programmata a Tunisi. In alcuni casi, la violenza generata dal discorso di Saied ha spinto alcuni Stati membri a mobilitarsi per il rimpatrio dei propri cittadini. In particolar modo, la Costa d’Avorio, il Mali, la Guinea e il Gabon hanno effettuato almeno un volo di rimpatrio ciascuno.

Un’ultima, rilevante, reazione da segnalare è stata quella della Banca Mondiale, la quale ha sospeso la sua collaborazione con la Tunisia. Il presidente uscente David Malpass ha dichiarato che le parole di Saied hanno scatenato “molestie e persino violenze a sfondo razziale” e che l’istituzione ha rinviato un incontro programmato con la Tunisia fino a nuovo avviso. Questa decisione potrebbe mettere ulteriore pressione su Saied e sulle trattative del prestito da parte del FMI. Infatti, sebbene la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale siano entità separate, lavorano in stretta collaborazione.
Possibili esiti dello stallo tunisino
Di fronte a queste circostanze è legittimo chiedersi quali siano i possibili esiti di questa fase di profonda incertezza. In primo luogo, le dimissioni volontarie di Saied, di fronte all’opposizione della società civile, sembrano improbabili. Non è infatti da sottovalutare la ripresa dei lavori del neo-eletto Parlamento che il 13 marzo, durante la sua prima sessione, ha eletto come speaker Ibrahim Bouderbala, sostenitore del Presidente. Una seconda ipotesi vede il ritorno al Dialogo Nazionale, come richiesto dall’Unione Generale Tunisina del Lavoro (UGTT). Tuttavia il precedente del 2013 aveva un chiaro obiettivo, ovvero la finalizzazione di una nuova costituzione, la cui redazione si basava su un largo bacino di consenso popolare. La situazione in cui versa oggi la Tunisia è diversa, in quanto il progetto di una nuova costituzione o l’indizione di nuove elezioni legislative entrerebbe a far parte dell’unilaterale piano d’azione di Saied iniziato nel 2021 e che manca di una diffusa legittimazione popolare.
L’eventualità di una presa di potere militare si allontana dalla tradizione tunisina. Per quanto il supporto materiale alla decisione di Saied di sciogliere il Parlamento nel 2021 abbia insinuato l’idea di un allontanamento dei militari dal loro ruolo apolitico, non sembra esserci una percezione che questo possa spingerli a prendere il potere con la forza. Infine, una quarta e più probabile ipotesi prevede uno stallo prolungato della situazione in cui, gradualmente, il vortice di arresti e di proteste si placherà e Saied resterà al potere. In questo caso, anche di fronte ad una riduzione delle tensioni, le condizioni socio-economiche e politiche della Tunisia resteranno in attesa di una soluzione.
Foto in copertina: Anadolu Agency.