di Matteo Anfurio

Il 15 agosto 2021 è considerato un punto di svolta della storia recente afghana per molti giovani e molte donne che hanno visto il ritorno dei talebani come una marcia indietro, un ritorno al governo quinquennale degli integralisti islamici avvenuto dal 1996 al 2001.

Nessuna vendetta

La sospensione di accesso delle donne alle università dello scorso 20 dicembre è solo l’ultima delle contraddizioni alle promesse fatte. Il 17 agosto 2021, durante la prima conferenza stampa, il portavoce Zabihullah Mujahid ha rassicurato i giornalisti presenti a Kabul – anche in Afghanistan grazie alla trasmissione dell’emittente locale TOLOnews – che il governo talebano non avrebbe cercato vendetta su alcuno, neanche su coloro i quali avevano aiutato gli statunitensi e i loro alleati nei venti anni di presenza sul territorio, promettendo che non sarebbe stato fatto loro del male. We assure that” – “noi assicuriamo che”: così ha ripetuto più volte il portavoce in tono pacificatore e rassicurante. Inoltre, i talebani hanno assicurato che non vi sarebbero stati cambiamenti radicali nella società afghana. Invece, i talebani hanno applicato da subito i dettami della Sharia nei confronti dei cittadini del Paese che attualmente governano.

Attraverso l’interpretazione più tradizionalista della Sharia, gli “studenti coranici” possono perpetrare condanne a morte, mutilazioni agli arti e agli organi, lapidazioni e frustrate. Successivamente, sono state portate avanti centinaia di esecuzioni extragiudiziali ai danni di persone che avevano lavorato nel governo precedente di Ashraf Ghani o perché erano sospettate di aver preso parte alla resistenza proprio contro i talebani, secondo Amnesty International.

Fonte: Sky News

Diritti e inclusione delle donne
L’altro punto fondamentale era quello relativo ai diritti delle donne. Il portavoce ha assicurato che avrebbero potuto lavorare e studiare “fianco a fianco” agli uomini in qualunque settore, ma rimanendo nei limiti imposti dalla Sharia.

Al contrario, non solo i talebani hanno limitato la libertà di movimento delle donne, ma ne hanno vietato la partecipazione ad associazioni umanitarie – attualmente sono 5 quelle che hanno smesso di operare in Afghanistan – e la continuazione degli studi universitari. Secondo molti cronisti internazionali, nel Paese si potrebbe iniziare a parlare di “apartheid di genere, anche se i talebani, dal loro punto di vista, non stanno che applicando la Sharia e le sue regole nei confronti delle donne. La comunità internazionale ha risposto subito con sdegno nei confronti delle decisioni del mullah Hibatullah Akhundzada e del suo gabinetto di ministri, considerandola una vera e propria inversione di marcia rispetto ai lavori fatti dai governi precedenti negli ultimi 20 anni per il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini e delle cittadine afghane.

Fonte: US Government

Costruzione e miglioramento delle infrastrutture economiche afghane
Inoltre, i talebani hanno annunciato che con la fine del conflitto civile per il controllo del Paese, si sarebbero prontamente concentrati a ricostruire le infrastrutture economiche per stabilizzare la situazione disastrosa che attanaglia l’Afghanistan.

La Banca Centrale Afghana è stata affidata al governatore Haji Mohammed Idris, già presidente della Commissione economica talebana, il cui compito precedente era quello di tassare illegalmente agricoltori ed imprenditori locali per finanziare le azioni politiche e militari dei talebani. Idris, scelto proprio per il carattere concreto delle sue azioni e per la sua capacità di risolvere situazioni complicate, ha ricevuto l’incarico di sollevare il Paese dal collasso economico nonostante, pare, non abbia ricevuto un’educazione di stampo né economico né finanziario – come riporta in un articolo il “IlSole24Ore”.

La situazione economica rimane comunque complicata per la popolazione, in continua condizione di indigenza e carestia, tanto che l’Afghanistan si trova al terzo posto nella lista dei Paesi più a rischio del 2023. Il 97% della popolazione è a rischio di povertà e la metà di questa dipende esclusivamente dagli aiuti umanitari delle ONG. Un aspetto importante da ricordare è che gli Stati Uniti hanno detenuto circa 7 miliardi di dollari di riserve estere afghane, utili, secondo loro, per risarcire i familiari delle vittime dell’11 settembre 2001, facendo perdere la capacità di agire alla Banca Centrale Afghana per condurre una politica economica stabile. Il dipartimento di Stato statunitense a settembre ha dichiarato lo sblocco di circa la metà delle riserve nel cosiddetto “Fondo afghano”, un fondo fiduciario svizzero, che servirebbe ad aiutare parte della popolazione più in difficoltà.

Sano dialogo con gli altri Stati
Secondo Abdul Ghani Baradar, Primo viceministro ad interim per gli affari economici, è necessario cercare, in vista della difficile condizione economica, un riconoscimento internazionale che porterebbe il Paese a stringere anche rapporti commerciali possibilmente rivitalizzanti dell’economia afghana.

Il primo grande accordo commerciale è stato stretto nel settembre 2022 con la Russia, un importante partner economico per i talebani, i quali riceveranno dal Cremlino gas, petrolio e grano. Entrambi i Paesi sono esclusi attualmente dal sistema di pagamento internazionale “SWIFT” e la Russia non può non passare da Kabul per mantenere la stabilità in Asia centrale, regione di fondamentale importanza che Mosca rivendica sotto la propria sfera di influenza. Questa mossa è necessaria per la Russia, già sotto forte pressione per via della guerra in Ucraina in Europa e per via del complicato rapporto con la Cina in Estremo Oriente.

La Cina è stata trai pochi a lasciare una propria missione diplomatica nel Paese dopo il ritiro degli statunitensi e si è trovata in una posizione influente grazie alla vicinanza con l’Emirato Islamico. Infatti, Cina e Afghanistan condividono un confine di circa 80 km – il cosiddetto Corridoio del Wakhan – che collega l’Afghanistan con la regione dello Xinjiang, terra abitata dagli uiguri, diventata teatro di violenze negli ultimi anni da parte del Partito Islamico del Turkestan.

Il 6 gennaio 2023, Pechino ha quindi stretto un accordo con Kabul affinché la società cinese Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas Co potesse estrarre del petrolio su territorio afghano; si tratta del primo accordo importante in materia di estrazione di idrocarburi firmato dal governo talebano dal momento della sua ascesa. L’azienda cinese, infatti, investirà fino a 150 milioni di dollari all’anno, che aumenteranno a 540 milioni di dollari in tre anni.

Con gli altri Stati vicini, l’Afghanistan sta dialogando facilmente grazie al principio del “business is business, secondo cui non è rilevante quale sia la controparte con cui si stanno stringendo accordi commerciali ma importa solo che vengano portati a termine. Questa è una linea utilizzata sia dal Turkmenistan che dall’Uzbekistan, anche se questi due Paesi, insieme al Tagikistan credono che il confine con l’Afghanistan sia comunque molto instabile e necessiti l’attenzione della comunità internazionale e, in particolare, della Russia. Infatti, sia il Turkmenistan che il Tagikistan hanno aumentato la sicurezza militare alla loro frontiera con Kabul.

Nel mentre il Ministro degli Esteri afghano Amir Khan Muttaqi sta aprendo al dialogo con altre potenze regionali, quali Iran e Kazakistan, nel tentativo di far integrare il proprio Paese nel progetto di connettività regionale tramite la costruzione di strade ferrate per migliorare i rapporti economici e politici assieme a Uzbekistan, Kirghizistan e Cina.

Il governo talebano ha fatto molte promesse, infrangendone molte già poco dopo la sua instaurazione. L’interpretazione più tradizionalista della Sharia ai cittadini afghani è stata applicata molto duramente, soprattutto riportare l’Afghanistan alle proprie origini tribali e religiose. A questo riguardo, la questione femminile forse è quella che ha fatto più scalpore tra l’opinione pubblica degli Stati occidentali, aggravando la posizione dell’Emirato agli occhi della Comunità internazionale.

L’Emirato Islamico Afghano si è dovuto quindi rifare alle potenze regionali, quali Cina e Russia, per ottenere un supporto in campo economico e per cercare quel riconoscimento internazionale tanto desiderato. Allo stato attuale, infatti, il progetto degli integralisti islamici non può sopravvivere senza un appoggio internazionale deciso.

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