di Fabio Naca
Tra le conseguenze subite dall’UE a seguito dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, la crisi energetica rappresenta indubbiamente la sfida per la Comunità intera. Nonostante tale situazione abbia colpito indistintamente tutti i 27 Paesi, specialmente posteriormente all’adozione di misure restrittive nell’ambito del commercio con la Federazione Russa e alla contro-risposta moscovita, l’Ungheria guidata da Orbán si è trovata attanagliata in un dilemma: seguire la linea imposta da Bruxelles, con la rinuncia progressiva al gas russo per accogliere nuovi fornitori, oppure continuare ad intrattenere relazioni con il Cremlino e staccarsi, una volta ancora, dalla linea comunemente perseguita dall’Unione.
In considerazione della forte dipendenza da fonti energetiche russe, come riportato anche dall’Eurostat nel marzo 2022, l’Ungheria ha intrapreso entrambe le suddette strade, talvolta discostandosi totalmente dalla linea comune europea e raggiungendo, tra i vari accordi, anche la rateizzazione dei pagamenti nei confronti di Gazprom per un totale di 3,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno per il prossimo quindicennio. Tuttavia, considerando che Budapest è nel mirino di Bruxelles già da diverso tempo in merito ad altre questioni quali il rispetto dei diritti civili e sociali, il campo visivo di Orbán, nel tentativo di riappacificare i toni con la Comunità, ha cominciato ad espandere gli orizzonti per soddisfare la linea UE nei confronti di Putin.

A tal proposito, particolarmente rilevante è la continua partecipazione di personalità politiche ungheresi di primissimo livello, tra cui figurano lo stesso Orbán e il ministro degli esteri e del commercio Szijjárto, ai consessi della Organization of Turkic States (OTS), gruppo composto da Stati turcofoni con l’obiettivo comune di rinforzare la collaborazione tra i medesimi. A partire dal 2021, l’Ungheria è divenuta osservatrice ai lavori del gruppo (unico Paese UE e dell’Europa), e negli ultimi due mesi si contano ben due presenze di primaria importanza, con Szijjárto a fine settembre in missione ad Almaty per negoziare nuovi accordi di politica energetica (specialmente con Astana e Baku), e quindi Orbán all’inizio di novembre nell’ambito di incontri a più ampio respiro con i suoi omologhi, tra i quali spiccava il Presidente turco Erdogan.
La cooperazione sull’asse euro-caucasico-asiatico da parte di Budapest non si è tuttavia unicamente soffermata sull’importanza che l’OTS ed Erdogan possono potenzialmente ricoprire, poiché, come già accennato in precedenza, l’Ungheria non sarebbe certo disposta a scontrarsi con Bruxelles con il rischio di farsi mettere i piedi in testa per porsi in condizioni del tutto simili con un unico Paese geopoliticamente molto ingombrante come la Turchia. A tal proposito, non sorprende pertanto l’incontro bilaterale tra Orbán e Irakli Garibashvili, primo ministro georgiano, a Budapest il 27 ottobre scorso, presso il quale, secondo le indicazioni fornite direttamente dal padrone di casa dell’incontro, si è discusso tra i vari argomenti anche e soprattutto di energia. Cionondimeno, a differenza del contesto delineato in precedenza, dove nonostante tutto sarebbe difficile non considerare una certa predominanza di interessi e gestione da parte di Ankara, in questo caso il progetto di un gasdotto, che, partendo da Baku, arriverebbe direttamente in Ungheria passando attraverso la Georgia, il Mar Nero e quindi la Romania, sembra avere un protagonista principale, ossia Orbán stesso.

Prendendo quale riferimento la cartina afferente al progetto del suddetto gasdotto, diviene quasi intuitivo comprendere l’importanza rivestita da tale progetto nel futuro del paese magiaro, specialmente per quanto concerne la sua permanenza all’interno dell’Unione Europea. Come anticipato nel primo paragrafo, i partner comunitari stanno attraversando un periodo tutt’altro che semplice dal punto di vista economico-finanziario, e tale situazione è in gran parte determinata dalla crisi energetica esplosa a seguito dell’aggressione russa all’Ucraina. Infatti, nonostante i rapporti Bruxelles-Budapest siano tutt’altro che idilliaci, Orbán potrebbe aver trovato sulla strada per Tbilisi la redenzione agli occhi degli alleati UE, poiché tale progetto presenta numerosi punti di forza dal punto di vista geopolitico in chiave comunitaria: (1) la dipendenza dal gas russo verrebbe scemando ulteriormente, (2) i costi di trasporto sarebbero decisamente inferiori se comparati all’importazione di gas liquido via nave, (3) si eviterebbe il passaggio dalla Turchia di Erdogan, interlocutore tanto necessario quanto sgradito dall’élite politica europea, e (4) si prospetterebbe una possibilità tutt’altro che remota di garantire una linea di approvvigionamenti energetici pressoché esclusivamente made in EU, specie se pensando allo status di candidato all’ingresso nella Comunità Europea di Tbilisi.
D’altra parte, diversi sarebbero i vantaggi per la stessa Budapest, che diverrebbe di fatto uno degli hub principali di importazione di gas di tutta l’Unione Europea, rubando anche in un certo senso il ruolo di leader regionale all’Austria, Paese che negli anni scorsi aveva indossato i panni del protagonista per mezzo della raffineria di Schwechat, a pochissimi chilometri dal confine austro-ungherese, l’importanza della quale si prospetta sempre più in calo poiché centro di smistamento del gas russo. Inoltre, la storica alleanza e unità d’intenti culturali che corre sull’asse Budapest-Tbilisi, come per altro ribadito dallo stesso primo ministro magiaro, potrebbe accelerare le pratiche di accettazione della candidatura georgiana all’interno della Comunità Europea, garantendo di fatto un alleato non solo fedele a Budapest per via dei suddetti legami culturali, bensì anche subordinato alla capacità ungherese di amministrare la rotta caucasico-carpatica del gasdotto.

Da tenere in considerazione sarà certamente la reazione turca di fronte a questo progetto, tutt’altro che positivo dal loro punto di vista per i fattori sopraelencati e molti altri ancora, e in tal senso sarà ancora più importante capire le intenzioni di Baku, storico alleato di Ankara, qualora dovessero sorgere controindicazioni da parte di Erdogan o chi per egli. La realtà geografica e politica nei dintorni dell’annosa questione azero-armena si pone pertanto come potenziale chiave di volta per il destino della stessa Budapest, in un quadro localmente già di per sé complicato dall’ingerenza di tre potenze regionali come Russia, Turchia e Iran, specialmente se si considera che la regione attualmente più calda nel conflitto locale è proprio a cavallo dei tre Paesi e, più nello specifico, in quello che Baku e Ankara hanno definito come il corridoio di Zangezur, necessario per garantire un passaggio diretto dal Bosforo al Mar Caspio senza l’interferenza di Mosca.
Come facilmente intuibile, la posizione ungherese non è certo tra le più comode da una prospettiva geopolitica: un Paese geograficamente piccolo, membro di due grandi alleanze come l’UE e la NATO, all’interno delle quali non gioca un ruolo di prim’ordine, culturalmente distante dalle origini dei propri vicini e, negli ultimi anni, anche bersaglio di critiche da parte di una nutrita schiera di realtà statali ben più imponenti. Eppure, nonostante il contesto strategico possa suggerire una presa di posizione più aderente agli obiettivi delle potenze ed alleanze più vicine, specie se considerando il conflitto alle porte dell’UE in Ucraina, Orbán ha ritenuto che la vicinanza a Bruxelles e Washington sia quantomai fondamentale, ma è al contempo riuscito ritagliarsi uno spazio d’azione non indifferente, che potrebbe portare Budapest a diventare uno degli attori principali per le sorti dell’Europa unita nei prossimi decenni, specialmente se considerando la prospettiva energetica che, come la cronaca odierna insegna, risulta fondamentale ai fini della stabilità economica e politica del Vecchio Continente, ancora non del tutto in grado di staccarsi dalla dipendenza caucasico-asiatica. Avendo intercettato tale necessità, e facendo leva sul retaggio storico e culturale che l’Ungheria condivide con l’intero bacino geografico del Mar Caspio, Orbán e Szijjárto stanno procedendo spediti con l’idea di ribaltare il destino dell’Ungheria in un’Europa sempre più unita, e vedendo i risultati quantomeno diplomatici ottenuti nell’ultimo quadrimestre, sembra che siano sulla buona strada, anche se solo il futuro sarà l’unico giudice.
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