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di Pietro Cattaneo

Nelle settimane immediatamente successive allo scoppio del conflitto in Ucraina – ormai quasi un anno fa! – la notizia dell’adesione svizzera alle sanzioni europee contro la Russia aveva suscitato un grande clamore mediatico. A questo proposito, molti titoli e articoli hanno parlato di “rottura” e di “eccezione” alla neutralità che, quasi per antonomasia, contraddistingue lo Stato elvetico nel panorama politico internazionale.

Ma è stato davvero così? Per poterlo capire occorre innanzitutto ripercorrere brevemente la storia e le caratteristiche della neutralità della Confederazione, nonché l’importanza che questo istituto riveste per il Paese alpino.

Possiamo innanzitutto individuare una radice storica molto profonda: gran parte degli studiosi concordano nell’identificare l’inizio di questa politica con il Congresso di Vienna, che nel 1815 riconobbe la neutralità svizzera nell’interesse collettivo delle potenze europee.

Alcuni, tuttavia, la fanno risalire addirittura alla sconfitta subita da alcuni degli attuali cantoni elvetici nella battaglia di Marignano del 1515, che pose fine alle loro ambizioni espansionistiche.

In ogni caso, è un dato di fatto che la Confederazione come la conosciamo oggi non abbia preso parte a nessuno dei tanti conflitti scoppiati in Europa negli ultimi due secoli. Non si trattò di una decisione presa ex abrupto, ma – come sottolineato da Tullio Aebischer – di un percorso graduale nel quale la Confederazione ha progressivamente compreso quale fosse il proprio ruolo nel contesto geopolitico europeo e, forte della sua piena adesione ai principi del diritto internazionale in materia e della presenza di un esercito in grado di difendere il suo territorio, ha identificato nella neutralità la miglior politica da perseguire in seno alla comunità degli Stati.

Una scelta di tale portata è andata ben al di là delle sue – pur fondamentali – implicazioni geopolitiche, entrando a far parte dell’identità della nazione in ambito domestico e internazionale. Questa politica è infatti riconosciuta universalmente come una caratteristica distintiva del Paese ed è divenuta negli anni un vero e proprio “marchio di fabbrica” della Svizzera, contraddistinguendo la nazione alpina tanto nel contesto diplomatico quanto nella cultura popolare.

Potrà quindi sembrare quantomeno inusuale che la neutralità non sia stata sancita per legge: essa ha infatti carattere volontario. La sua centralità nella vita politica della Confederazione, però, è resa più che mai evidente dagliarticoli 173 e 185 della Costituzione federale, in cui viene affiancata a due condizioni fondamentali per l’esistenza dello Stato stesso. All’Assemblea e al Governo federale, infatti, spetta il compito di «prendere provvedimenti a tutela della sicurezza esterna, dell’indipendenza e della neutralità della Svizzera».

A questo proposito è in corso un dibattito interno particolarmente intenso e fortemente politicizzato, che ha diviso profondamente lo stesso governo elvetico. La proposta di una “neutralità cooperativa” – ovvero di una collaborazione intensificata e rinforzata con NATO e UE anche sul piano strategico e militare, portata avanti dal Presidente e Ministro degli esteri in carica Ignazio Cassis – è stata bocciata in Consiglio federale: ad ottobre, infatti, quest’ultimo ha ritenuto necessario ribadire che la prassi relativa alla neutralità – definita a partire dal rapporto in materia del 1993 – è stata confermata, evidenziandone la compatibilità con l’appoggio alle sanzioni elevate contro la Russia.

La risposta che le istituzioni della Confederazione danno al sensazionalismo mediatico è quindi netta e molto chiara: la tradizionale neutralità non è assolutamente venuta meno. Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha addirittura approntato una pagina web di domande e risposte sull’argomento, sottolineando che la scelta compiuta è stata oggetto di un’attenta valutazione nell’ambito di una politica «non […] immutabile, bensì uno strumento […] che deve essere adattato al clima politico prevalente». 

La vicinanza a Bruxelles, infatti, non implica una totale condivisione delle azioni del partner: alcune misure sanzionatorie decise dall’Unione, infatti, non sono state applicate dalla Svizzera. Ne è un esempio il divieto di diffusione dei contenuti di alcuni media russi: questa misura non è mai entrata in vigore a Berna, dove si è deciso di «rispondere con i fatti a dichiarazioni fallaci e dannose, anziché vietarle.»

La destra conservatrice – che pure è presente nella coalizione di maggioranza con l’Unione Democratica di Centro (UDC) – ritiene invece che sia in essere una minaccia alla neutralità costituita, a loro dire, dalla troppa vicinanza delle scelte di Berna alle politiche proprie dell’alleanza atlantica e dell’Unione europea. Alcune componenti extraparlamentari antieuropeiste – con l’appoggio dell’UDC – hanno dato voce a questa istanza fondando l’associazione Pro Svizzera, che intendeappoggiare un referendum per introdurre in Costituzione l’articolo 54a. Esso metterebbe nero su bianco il principio della neutralità armata e permanente della Svizzera, escludendo peraltro ogni adesione elvetica ad un’alleanza di difesa.

Da questo dibattito in essere emergono due grandi certezze.

La prima è che la Confederazione ha certamente preso una posizione nel conflitto russo-ucraino, ma – proprio in virtù del suo status particolare – si è riservata di agire autonomamente, in misura molto più moderata e con vari distinguo rispetto al resto del mondo occidentale: ne è riprova il fatto che gli Stati Uniti non hanno esitato a sanzionare cittadini e imprese elvetiche ritenute particolarmente vicine ad alcuni oligarchi russi.

La seconda consiste nella volontà comune da parte della popolazione svizzera di proseguire con convinzione nel solco della neutralità, per quanto declinata in differenti modalità. Il 96% dei cittadini, infatti, ritiene che Berna dovrebbe mantenere il proprio status in un’ottica di salvaguardia dei propri interessi, contribuendo in questo modo alla sicurezza globale.

Sembra dunque evidente che la strada della Confederazione non sarà – quantomeno nel breve termine – interrotta da alcun bivio. È tuttavia molto probabile che presto spetterà alla popolazione scegliere su quale corsia viaggiare.

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