Articolo di Michelangelo Cerracchio
Vignetta di Antonio Canzoniere

L’accaparramento delle risorse rimane l’ossessione fondamentale ed esclusiva di ogni Polity, ovvero nient’altro che concentrazione di potenza per la potenza. Potere necessario per imporre su un determinato territorio il proprio dominio al fine di sfruttarne le risorse e soddisfare i bisogni della popolazione; potere fondamentale per garantire un flusso di risorse dall’esterno qualora la Polity si trovi a contrastarne la penuria. Nella poropolitica[1], ovvero la politica delle risorse, l’opportunità data dall’accaparramento di risorse si trasforma in una maledizione e le risorse finiscono per diventare la droga delle Polities. E le Polities, come i drogati, continuano financo ad abusarne.

Quello che sta accadendo ora in Ucraina non è nient’altro se non il risultato dell’equazione della competizione delle Grandi Potenze, che muovendosi in cerca di risorse materiali e immateriali finiscono per contaminare ogni singolo angolo del globo, moderando o scatenando le guerre secondo i loro interessi. L’Ucraina non è che l’ultima vittima della competizione di potenza.

L’imperativo territoriale e l’importanza delle risorse

Sul campo di guerra ucraino si sfidano la civiltà occidentale e quella ortodossa: l’una sotto l’egida washingtoniana, l’altra sotto quella moscovita. La prima volta ad attrarre Kiev nella sfera d’influenza americana in nome della democrazia e dei diritti umani, la seconda a recuperare il cuore di ciò che è stato l’Impero Russo nella sua storia plurisecolare nella speranza di rimanere Grande Potenza ed evitare il collasso. Entrambi gli attori mirano ad accaparrare risorse immateriali, in questo caso ideologiche e culturali, da offrire  alle proprie opinioni pubbliche per affermarne l’esistenza e aumentarne il senso di appartenenza, ma soprattutto legittimando uno spargimento di sangue volto alla conquista di territori ricchissimi – e quindi di risorse materiali.

Questa guerra getta nel panico le collettività occidentali perché ricorda loro l’imprescindibilità dell’imperativo geografico e politico (quindi geopolitico) dell’accaparramento delle risorse, di cui il gas e il grano sono solo la punta di diamante. L’Ucraina non è soltanto il granaio più grande del mondo, in grado di alimentare 600milioni di persone; infatti, il suo territorio contiene il maggior potenziale di riserve dell’intero continente con più 20 mila giacimenti censiti di 194 minerali, 117 dei quali sono tra le 120 risorse più utilizzate a scopi industriali. Nella zona orientale e meridionale del paese, non a caso zona di contatto degli eserciti, è concentrata metà del petrolio, tre quarti del gas naturale (secondo in Europa soltanto alla Norvegia) e la quasi interezza del carbone dell’Ucraina. E ancora: litio, neon, uranio, mercurio, manganese, titanio e sabbie minerali. Sottrarre la parte più ricca dell’Ucraina al dominio americano vuol dire privarne l’occidente in una situazione di scarsità già acclamata.

La strategia moscovita di far leva sulla disponibilità delle riserve gasiere per minare la solidità della sfera d’influenza americana è una costante. Questa mossa segue la stessa logica dell’invasione dell’Ucraina: infliggere paura per mettere in crisi gli europei affinché siano gli uni contro gli altri e, conseguentemente, rendere la vita dura al Pentagono. D’altronde lo disse Biden stesso, proprio nei giorni prossimi all’invasione: “It’s one thing if it’s a minor incursion and then we end up having a fight about what to do and not do”. Condizione verificatasi non solo con il riarmo unilaterale del paese più importante dell’Eurozona ovvero la Germania, ma addirittura con la volontà di Svezia e Finlandia di entrare nella NATO che ha visto la ferma (ma prevedibile) opposizione della Turchia.

Il fenomeno della Rasputitsa (The Telegraph)

Può l’inverno cambiare la natura della guerra?

L’inverno incombente rischia di raffreddare le posizioni nella guerra ma di esasperare le conseguenze della guerra. Il primo dicembre in Ucraina sono già previste temperature sottozero per via del primo anticiclone siberiano. Questa condizione potrebbe portare ad una battuta d’arresto riguardo l’obiettivo nella guerra, lo Zweck clausewitziano, ovvero operazioni militari sul campo in ottemperanza della strategia.

Mosca, in questo momento, sa di dover temporeggiare il più possibile per dover consolidare il controllo sulle zone annesse. A questo scopo ha richiamato 300mila riservisti dalle zone più remote della Russia e, con il ritiro dalla sponda orientale del Dnepr, potrebbe rinunciare ad ogni velleità espansiva sull’est dell’Ucraina. Su suggerimento degli americani, infatti, agli ucraini è bastato fissare un’aliquota dell’esercito russo su Cherson per evitare che Mosca potesse riorganizzare la massa critica nel Donbass.

Già le piogge invernali hanno portato il terreno ucraino alla classica Rasputitsa, ovvero quel periodo dell’anno in cui qualsiasi manovra bellica terrestre diventa un pantano per via della fanghiglia. Ora, con le basse temperature previste, la possibilità che una manovra offensiva terrestre riesca nella conquista di grosse porzioni di territorio è improbabile (anche se non del tutto impossibile). Inoltre, gli anticicloni siberiani tipici generano dei venti che potrebbero risultare controproducenti alla minaccia nucleare Russa. La differenza di pressione portata dall’anticiclone, infatti, porta venti freddi a soffiare dalla Russia verso ovest e sudovest e altri venti caldi dalla Moldova, attraverso il sud dell’Ucraina, in direzione est e nordest verso la Russia. Sganciare un’atomica tattica sull’Ucraina vorrebbe dire rischiare di ritrovarsi la nube atomica in casa, con conseguenze colossali non solo sull’umore e sulla salute della popolazione russa, ma a lungo andare anche sulla sua economia – in una situazione di semi-isolamento che già non l’aggrada.

Una vignetta di Antonio Canzoniere dei venti glaciali della Guerra d’Ucraina

Europa (dis)unita? Dal rompicapo tedesco alla voce della Bastiglia

Allo stesso modo però, l’addentrarsi nell’inverno potrebbe alimentare i mezzi utilizzati per raggiungere l’obiettivo della guerra, lo Ziel, ovvero il raggiungimento del proprio scopo politico, già delineato nella strategia.

 Le suddette difficoltà nelle cancellerie europee, infatti, possono diventare sempre più divisive così come dimostra la scelta della Germania di non assumersi  gli oneri del tetto al prezzo del gas. A differenza di quanto successo durante il Covid, dove i teutonici erano il perno vaccinale degli schemi comunitari grazie a Pfizer e Biontech, questa volta Berlino ha scelto unilateralmente di proteggere le proprie industrie dal rincaro energetico con 200 miliardi di euro.
Deutschland über alles (Germania al di sopra di tutto).

Quella d’Ucraina è una guerra russo-americana e non poteva che essere la Germania, per motivi geografici oltre che politici, a risentirne maggiormente – rimanendo magicamente persino senza Nord Stream. Già nemico per antonomasia del Pentagono, attraverso la NATO e l’Unione Europea Washington ha addossato una catena di forza per evitare che Berlino potesse tornare ad essere grande da sola intestandosi la guida di quel continente che rappresenta il cuore della sfera d’influenza americana.  

Per questo motivo, anche qualora volesse, dalla sua riunificazione la Germania si è mostrata reticente nello sviluppare una propria strategia e le sue mosse sono sempre apparse estremamente ambigue. E come potrebbero non esserlo, data la propensione tedesca nella ricerca di un’intesa con Mosca e con Pechino? Già il raddoppio del Nord Stream ha sempre trovato l’opposizione degli americani, altrettanto infelici della recente visita di Scholz a Pechino e della vendita di una parte del porto fluviale di Amburgo ai cinesi.

Olaf Scholz, Cancelliere della Repubblica Federale (Bloomberg)

È vero che, in questo senso, la strategia russa e quella americana nei confronti degli europei si assomigliano. Infatti, l’egemone americano abbisogna di un’Europa abbastanza unita ma incapace di rendersi autonoma e indipendente, motivo per cui un eccessivo grado di unità va bilanciato da relativo grado di discordia. Ecco perché le sanzioni imposte alla Russia hanno doppio vantaggio per Washington: puniscono l’aggressore e allo stesso tempo si riverberano sulle cancellerie del continente allontanando l’incubo di un’Europa davvero unita. Perché il vero incubo strategico americano è la creazione di un’unificazione politica (quindi militare) del continente alternativa alla NATO, che renda l’Europa autonoma e faccia perdere a Washington la presa alla sua sfera d’influenza – costata agli americani due guerre mondiali e una guerra fredda. Allo stesso tempo però, il sostegno all’Ucraina, tutorato da Londra e fomentato dagli europei orientali, Polonia in primis, non deve tirare troppo la coperta degli europei occidentali, che altrimenti potrebbero scollarsi e minare la compattezza del fronte.

La Francia, unico paese europeo strategicamente meno vincolato per via del legame sentimentale con gli Stati Uniti ed energeticamente più autonomo grazie alla presenza di centrali nucleari, è la prima ad avere una posizione cauta nei confronti di Kiev, tant’è che Macron ha prima sentito telefonicamente e poi ha incontrato Putin al Cremlino. Ovviamente su suggerimento e per conto degli americani.

Non solo. Infatti, l’inquilino dell’Eliseo ha riferito di aver chiesto a Papa Francesco di chiamare Vladimir Putin, Joe Biden e il patriarca russo Kirill per sollecitare un dialogo di pace. Sollecitazione ben accolta dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha dichiarato di essere “pronti a discutere […] con gli americani, e con i francesi, e con il pontefice”.

Perché Washington non può tirare troppo la corda?

Se da una parte Washington continua a foraggiare l’Ucraina di aiuti umanitari, economici e militari, dall’altra ha sempre cercato di spingere gli Ucraini al tavolo delle trattative. Prima scaricando la colpa dell’assassinio della figlia di Dugin sui servizi d’intelligence ucraini (e quindi negando qualsiasi coinvolgimento americano nella vicenda), poi organizzando un incontro tra il direttore dei servizi segreti americani e quelli russi, incontratisi in Turchia per discutere di prigionieri e di escalation nucleare. E il giorno seguente, verificatosi l’incidente del missile caduto in territorio polacco, Biden è stato il primo a dare segni di calma in una situazione che ha fatto sobbalzare mezza Europa.

Se da un lato, quindi, il sostegno americano in Ucraina si fa sentire soprattutto con l’aiuto del Regno Unito e degli europei orientali, disposti a tutto per via di risentimenti storici a contrastare la Russia, tranne qualche eccezione come in Ungheria e in Bulgaria, dall’altro questo sostegno non deve rappresentare un costo eccessivo e un motivo di dissenso nell’Europa occidentale. Per gli americani, far capire agli Alleati che spendere il 2% del PIL in spese militari nell’ottica di una difesa già comune è un tassello fondamentale nella persecuzione della loro strategia.

Nella storia umana mai si era verificata una situazione in cui una sola Grande Potenza fosse tanto potente da non temere alcun rivale. E se il dilemma classico di un’Impero in decadenza è il riequilibrio di impegni e risorse, non potrebbe essere altrimenti per il caso degli Stati Uniti. Compattare per quanto possibile gli europei e disimpegnarsi dai teatri meno urgenti e meno importanti, come fatto in Medioriente, serve da riassestamento in vista del grande scontro con la Cina. È in quest’ottica che è difficile immaginare che Washington continui a sfidare a muso duro Mosca, dato che plausibilmente quest’ultima potrà essere utile nel Grande Gioco con Pechino.

Quella d’Ucraina è la prima guerra simmetrica in Europa dalla Jugoslavia e le conquiste russe rappresentano le più grandi annessioni territoriali dalla Seconda guerra mondiale dello stato più grande d’Europa (la Russia) nei confronti del secondo (l’Ucraina). Quello d’Ucraina è un banco di prova di un mondo sarà sempre più volatile, incerto, ambiguo e complesso e proprio per questo la minaccia nucleare potrebbe concretizzarsi nonostante nessuno voglia saltare per aria. Nel frattempo, Pechino prende nota: appuntamento nell’Indopacifico a data da destinarsi. Il tempo stringe, lo spazio pure.


[1] Da Poro, personaggio della mitologia greca e romana che rappresenta abbondanza, ricchezza, risorsa. Nel Simposio di Platone, Poro è la personificazione dell’ingegno e dell’espediente. Avido di sapienza e ricco di risorse, è in contrasto con Penìa, la miseria. Concetto preso da “I sicari della pace: L’Irlanda del Nord e lo spettro di una nuova guerra civile“, Luca Bellocchio.

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