di Alice Ferrari
Domenica 20 novembre è iniziata la ventiduesima edizione del Mondiale di calcio: il Paese ospitante è il Qatar, il primo Stato mediorientale a essere sede di una manifestazione sportiva di tale portata.
Perché i Mondiali di calcio del 2022 si giocano in Qatar?
Era il 2010 quando la FIFA concesse il diritto a organizzare l’evento a questa piccola ma ricchissima monarchia assoluta affacciata sul Golfo Persico. Si trattò di un vero e proprio messaggio politico di inclusione e apertura nei confronti di uno di quei Paesi che tradizionalmente non partecipano da protagonisti a manifestazioni di questo tipo. Tutto ciò avvenne in un contesto geopolitico molto diverso da quello attuale e, in particolare, caratterizzato dalla volontà di buona parte della comunità internazionale di superare la cosiddetta War on Terror. Basti pensare al discorso tenuto al Cairo solamente un anno prima da Barack Obama, in cui l’ex Presidente degli Stati Uniti prefigurava l’apertura di una nuova fase, improntata sul rispetto e sugli interessi reciproci, nei rapporti tra occidente e mondo arabo.
Dal canto suo la decisione del Qatar di presentare la propria candidatura era legata alla possibilità di sfruttare l’occasione come catalizzatrice di un cambiamento positivo in Medio Oriente. Assumere un impegno di questo tipo permette ad uno Stato dal carattere autoritario di ammorbidire la propria immagine (e, di riflesso, anche quella dei suoi vicini), rendendo relativamente più facile l’instaurazione di legami diplomatici con Paesi geograficamente e politicamente distanti. Da un punto di vista strettamente economico, la possibilità di organizzare i Mondiali di calcio rientrava in un più ampio programma di diversificazione delle entrate, al di là delle ingenti risorse di gas naturale di cui il Paese dispone. Le Nazioni ospitanti, infatti, tendono ad impegnarsi in significativi investimenti volti ad attirare turismo e permettere all’economia di fiorire a lungo termine.
Quelli di quest’anno, tuttavia, sono stati spesso e volentieri definiti i “mondiali della discordia” divenendo oggetto di investigazioni giornalistiche e attirando le critiche di organizzazioni non governative, sia in ambito ambientale che in quello dei diritti umani.
L’obiettivo della neutralità ecologica e le accuse di greenwashing
Dal punto di vista dell’impatto ambientale, la FIFA e le autorità qatariote hanno fin dall’inizio affermato che i Mondiali del 2022 sarebbero stati a emissioni zero nette. L’obiettivo è dunque quello della neutralità ecologica definita dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico come una situazione in cui, in un dato lasso di tempo, le emissioni causate dall’azione umana vengono controbilanciate da assorbimenti equivalenti di gas serra.
In un report del maggio 2022, la Carbon Market Watch (un’organizzazione che si occupa di valutare la validità di promesse ambientali) ha affermato che la bandiera della neutralità ecologica non è, in realtà, altro che greenwashing, vale a dire ambientalismo di facciata.
Una prima argomentazione accusa gli organizzatori di avere sottostimato l’impatto ambientale potenziale dell’evento a causa della modalità di calcolo scelta che sembrerebbe escludere alcune emissioni. Prima del 2010 in tutto il Paese esisteva un unico stadio di ultima generazione e atto ad ospitare grandi folle; solo negli ultimi dieci anni ne sono stati costruiti sette e tutti concentrati nei dintorni di Doha. Questi ultimi, secondo gli organizzatori, continueranno ad essere utilizzati sia come impianti sportivi che come uffici, cliniche o alberghi anche una volta che la Coppa del Mondo si sarà conclusa e, per questo motivo, la manifestazione non deve essere ritenuta la sola responsabile per le emissioni totali legate alla loro costruzione.
Oltre al fatto che i calcoli preventivi circa l’effettivo impatto ambientale dei Mondiali sembrerebbero essere stati sottostimati, il report critica anche alcune delle misure di compensazione e bilanciamento ideate per raggiungere la neutralità ecologica. Tra queste, la creazione nel deserto di un vivaio per la produzione di alberi e manti erbosi da impiantare nei parchi intorno agli stadi e nei campi da calcio. Secondo la FIFA e le autorità qatariote queste piantagioni contribuiranno ad assorbire tonnellate di gas serra ogni anno.
In realtà per poter dire che il processo di compensazione abbia un effettivo beneficio climatico i gas serra dovrebbero rimanere immagazzinati almeno per due o tre secoli. Nel caso in questione è altamente improbabile che le piante rimarranno in vita per un così lungo lasso di tempo, in quanto coltivate in spazi artificiali che necessitano di un’intensa attività di manutenzione da parte degli uomini. Una misura di questo tipo sembra mancare di integrità e rischia di condurre il mondo intero a credere che l’organizzazione della Coppa del Mondo stia raggiungendo risultati molto più positivi in ambito ambientale di quanto in realtà stia facendo.
La questione dei lavoratori immigrati nei cantieri: sfruttamento, abusi e morti sospette
Nella sfera dei diritti umani, occorre sottolineare che la costruzione degli stadi e delle altre infrastrutture necessarie ad ospitare un tale evento sportivo ha visto il coinvolgimento di un gran numero di lavoratori immigrati (per lo più provenienti dal Nepal, Bangladesh e India) che negli ultimi anni sono stati vittime di abusi e morti sospette.
A fronte di insistenti pressioni da parte della comunità internazionale, nel 2017 il Qatar ha sottoscritto un accordo con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro mediante il quale si impegnava, quantomeno formalmente, a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori immigrati. Tra le misure introdotte rientra un parziale smantellamento del sistema “Kafala” di sponsorizzazione che rendeva i lavoratori totalmente dipendenti dai loro datori di lavoro: i primi, infatti, non potevano cambiare impiego o spostarsi in un altro Paese senza l’autorizzazione dei secondi. Inoltre, a partire dal 2021, un’ulteriore misura ha introdotto il salario minimo mensile.
Ad oggi, tuttavia, queste riforme sono rimaste in larga misura solo sulla carta e nella pratica gli imprenditori esercitano ancora un eccessivo controllo sulla forza lavoro straniera, rendendole difficile cambiare occupazione o emigrare, e un gran numero di lavoratori sono ancora sottopagati; inoltre le condizioni lavorative non sono state rese significativamente più sicure e per gli immigrati è ancora esclusa la possibilità di formare ed aderire ad associazioni sindacali.

A fronte di questa situazione Amnesty International, nel periodo dal 16 agosto al 6 settembre 2022, ha svolto un sondaggio il cui risultato ha mostrato che i due terzi delle diciassettemila persone intervistate (tifose di calcio e non) in quindici Paesi si dichiarano a sostegno della campagna #PayupFIFA. Quest’ultima non è altro che un progetto lanciato da un gruppo di associazioni per i diritti umani volto a premere sugli organizzatori dei Mondiali affinché venga istituito un fondo di risarcimento per i lavoratori e le loro famiglie, nonché per prevenire ulteriori violazioni dei diritti. Nel sondaggio l’opinione pubblica afferma che anche gli sponsor dovrebbero prendere una posizione netta sul tema. Ad oggi solo Adidas, Coca-Cola e McDonalds si sono espressi favorevolmente nei confronti di questa compensazione finanziaria; dal canto loro la FIFA e le autorità del Qatar continuano ad esitare e a non fare affermazioni chiare sulla questione.
Il Qatar è attualmente un Paese che si trova sotto la lente di ingrandimento del resto del mondo, oggetto di una campagna informativa e di critica senza precedenti. Questo è senza dubbio espressione del fatto che, differentemente da quanto succedeva nel passato, i confini tra lo sport e i temi politici, ambientali, sociali e umanitari sono sempre più sfocati. È ancora presto, tuttavia, per dire se i Mondiali di calcio contribuiranno a promuovere lo status del Qatar sullo scacchiere internazionale oppure ad accelerarne il declino, alla luce delle questioni critiche interne al Paese.
Photo Credits: SkySport, Agence France-Presse, Reuters, Amnesty International.