I Paesi dell’America Latina e Caraibi non hanno mai goduto di grande indipendenza, autonomia ed autosufficienza. Incapaci di imporsi a livello internazionale, per fragilità strutturali e problemi cronici, gli Stati Sudamericani hanno sempre avuto la necessità dell’influenza altrui. In parallelo a ciò, l’area mostra però un potenziale enorme, e dopo gli ultimi anni conditi da un processo di profonda diversificazione politica e diplomatica, per le potenze mondiali riuscire a penetrare in America Latina può essere un vantaggio e beneficio colossale. Nello specifico, chi in questi ultimi anni è riuscito ad insediarsi in quest’area geografica è la Cina.
L’infiltrazione del Dragone nel Sud America è storia relativamente recente, fatta di intuizione e perspicacia nel cogliere le lacune a Stelle e Strisce. La maggiore influenza della Cina è concomitante al progressivo allontanamento dei paesi della regione dagli Stati Uniti. Un sempre maggiore disinteresse, diminuzione dell’impegno, rapporti esacerbati e la dottrina Monroe quasi dimenticata, sono stati caratteri distintivi delle ultime amministrazioni alla Casa Bianca nei confronti del Sud America. Altro dettaglio è stata l’adozione da parte americana del cosiddetto Pivot to Asia, poi codificato nel ‘Sustaining US Global Leadership: Priorities of the 21st Century Defense’ . Questa dottrina non ha fatto altro che focalizzare l’interesse USA verso l’Indo-Pacifico, perdendo di vista l’area Sud del suo continente.
Da questo ultimo punto scaturisce un’ulteriore azione perspicace del Dragone. Con il grande sfidante americano impegnato, la Cina ha proseguito la sua strategia di costruzione e consolidamento di rapporti economici stabili e diversificati nelle diverse aree del globo. In aggiunta, l’accostamento all’America Latina pare essere anche un re-balancing nei confronti USA, molto presenti nel mare cinese meridionale.
La RPC ha iniziato reali e rilevanti rapporti con i Paesi della regione latino-americana non prima degli anni ‘80 con Deng Xiaoping. Per lungo tempo i governi comunisti della Cina misero in evidenza una forte ostilità nell’interagire con il continente latinoamericano, considerato ‘cortile di casa’ (houyuan) degli Stati Uniti d’America. Altro tassello importante dell’interesse cinese all’area, fu l’adesione di Pechino all’Organizzazione mondiale del commercio ed il Forum Cina-CELAC, con annessa strategia di diversificazione dei propri mercati e fornitori di materie prime.
Ciò su cui tutto ruota sono però le relazioni prettamente commerciali. Già al tramonto del XX secolo, si può contare un’esportazione verso la Cina dall’AMLAT di 841 milioni di dollari, con import di 604 milioni. All’inizio del nuovo millennio e quindi appena dieci anni più tardi, questi dati evidenziano già un sensibile aumento, con 3,7 miliardi di export e 8,3 di import. Altro dato confrontabile e significativo è la percentuale degli scambi commerciali passata dallo 0,6% del totale dell’area latinoamericana al 1,6%.
Dal successivo Boom economico cinese e concomitanti difficoltà dell’America Latina, si assiste ad una vera e propria esplosione delle relazioni commerciali. Il contesto Sud Americano ha visto una crescita del PIL del 3,1% tra il 1990 ed il 2000, mentre nel triennio successivo solo lo 0,9%, ed una diminuzione anche del tasso di investimento dal 20,3% al 18,6%. Da questo quadro tutt’altro che positivo, l’area Sud Americana ha trovato nella Cina un porto sicuro. I numeri certificano quanto detto, passando dai 12 miliardi di valore totale degli scambi tra America Latina e Cina ad inizio millennio, agli oltre 315 miliardi del 2019.
In definitiva, la Cina è diventata caposaldo per le economie sudamericane, divenendo principale Paese di riferimento commerciale per molti Stati, ed in assoluto il secondo partner commerciale dell’America Latina. Oltre a ciò il valore dei prestiti, destinati a progetti di differente natura, della Cina verso l’area ha superato i finanziamenti della Banca Mondiale e della Banca Interamericana di Sviluppo.

Appurato il fatto, un altro aspetto fondamentale nello sviluppo delle relazioni commerciali tra RPC e Sudamerica sono i mezzi utilizzati. Tolta la classica Debt Trap cinese, ancora oggi oggetto di dibattito, parliamo invece dei Free Trade Agreements (FTA). Queste aree di libero scambio, quasi totali, senza barriere, tariffe o quote di importazione, servono ad istituzionalizzare i legami tra le due aree. Ovviamente la stipula di tali accordi non ha solo mira istituzionale per la Cina, bensì anche benefici non indifferenti sullo schema cosiddetto delle commodity lottery, delineato e spiegato nell’articolo pubblicato sul Journal of Development Economics nel 2007.
I Paesi latinoamericani sono ricchi di risorse: il Venezuela è ricco di petrolio grezzo insieme all’Ecuador, il Perù possiede il rame, semi di soia, riso e lito sono in grandi quantità in Argentina, sempre il litio è presente in Cile e Bolivia, ed infine il Brasile è pieno di minerale di ferro e niobio Tutti materiali indispensabili alle esigenze manifatturiere, industriali, tecnologiche ed alimentari della Cina, che cerca di ottenere un accesso privilegiato.
Parallelamente alla stipula di accordi prettamente commerciali e di scambio, è frequente l’operazione cinese di investimenti nei Paesi con cui stringe questi legami. Qualche dato significato ci arriva analizzando gli investimenti diretti esteri (IDE) verso la regione da parte della Cina. Secondo l’Economic commission for Latin America and the Caribbean (ECLAC) dal 2005 in poi gli investimenti hanno iniziato ad incrementare, per avere poi una significativa accelerazione dal 2008. Nel lasso temporale che va dal 2005 al 2013, la fine del Boom economico cinese, il valore totale di IDE era di 60 miliardi annui e rappresentavano il 5% degli investimenti totali verso l’America Latina. Il solo 2019 conta invece 12,8 miliardi, con un aumento del 16,5% rispetto al 2018.
Particolare attenzione è stata data dal colosso asiatico sul tema petrolifero, con ingenti investimenti nel Sud America coinvolgendo le principali quattro compagnie petrolifere statali: China National Petroleum Corp, China National Offshore Oil Corporation, Sinopec e Shaanxi Yanchang Petroleum. Stesso principio anche per i prestiti elargiti, sempre attraverso banche di fiducia e dalle due principali ‘policy banks’ legate al governo di Pechino: China Development Bank (CDB) e China Export-Import Bank (CHEXIM).
La strategia di esportazione di capitali, investimenti e finanziamenti rientra nello schema cinese di liberalizzazione dei capitali cercando di espandere la propria presenza ed influenza nei mercati finanziari globali, sempre con un occhio di riguardo alle risorse. Solo in America Latina, la Cina ha istituito tre fondi regionali: il China-LAC industrial cooperation investment fund, il China-LAC cooperation fund e il Special loan program for China-Latin America infrastructure, sintomo di grande attenzione e sostegno ai propri investimenti nell’area.
A chiudere il progetto e penetrazione cinese in America Latina vi sono ancora due aspetti da analizzare. Il primo è sicuramente la Belt and Road Initiative (BRI), lanciata da Xi Jinping nell’ottobre 2013, a cui 21 governi latinoamericani hanno aderito. Inutile ribadire l’ondata d’influenza del Dragone con questa iniziativa, che garantisce agli Stati latinoamericani ingenti investimenti in differenti campi, finanziamenti irrisori all’economia cinese, una rete transcontinentale di commercio ed infrastrutture enorme e l’apoteosi di tutti i processi sopra descritti.
Accanto alla BRI, si poggiano altre iniziative di cooperazione, che avvicinano sempre di più il Sud America alla Cina, attraverso comunità d’intenti, relazioni su più livelli e consolidamento delle relazioni diplomatiche, come ad esempio il Piano d’azione congiunto maturato dal Forum Cina-Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi (CELAC) per la cooperazione (2022-2024) giunto alla sua terza edizione (2008 e 2016). Occasione per tracciare la roadmap degli obbiettivi di cooperazione multilaterale in differenti settori.
Queste iniziative, oltre ad essere i contenitori delle strategie di Pechino verso l’estero, volgono anche la funzione dell’ultimo aspetto d’analisi, ovvero quello prettamente diplomatico. Instaurare relazioni diplomatiche solide in America Latina significa un punto importante per questioni più prettamente interne per il Dragone, come lo specifico caso di Taiwan.
Ad oggi otto dei nove Stati dell’emisfero occidentale che continuano ad avere interazioni diplomatiche con Taipei si trovano in America Centrale e nei Caraibi. Dal 2017 la RPC è riuscita a convincere quattro stati – Panama, Repubblica Domenicana, El Salvador ed il Nicaragua – ad interrompere le proprie relazioni con la Repubblica di Cina. Ovviamente la Cina non solo li ha convinti, bensì si è sostituita a Taipei, con investimenti, cooperazione e finanziamenti.
In questo gioco forza diplomatico la potenza asiatica riserva quindi particolare attenzione, apparentemente del tutto sproporzionata rispetto al loro peso politico-diplomatico, ai Paesi centroamericani. L’apparenza però è data dal fatto che, anche questi Stati possono dare voti di inestimabile valore alle Nazioni Unite e sostegno alla RPC sulla questione difficilissima di Taiwan.
In conclusione, a farne le spese della penetrazione cinese in Sud America sono ovviamente gli Stati Uniti d’America, che pagano quattro amministrazioni più attente all’Indo Pacifico ed approcci molto più duri verso il Sud del continente. Qualche esempio dell’approccio a Stelle e Strisce degli ultimi anni verso l’America Latina sono la più rigida chiusura nazionale con G.W. Bush, i tre documenti di politica estera di Trump, National Security Strategy, National Defense Strategy e Nuclear posture Review e l’uscita degli USA dal Trans-Pacific Partnership (TPP) – un accordo commerciale instaurato da Obama che incorporava diversi Paesi latinoamericani progettato in chiave di contrasto verso l’ascesa della Cina nella regione – ed infine l’Interim National security strategic guidance di Joe Biden che segue il solco lasciato dai suoi predecessori.
Se da un lato quindi troviamo l’arguzia del Dragone e dall’altro il disinteresse momentaneo USA, nel mezzo c’è l’America Latina che necessita di assistenza e risorse per risollevare la propria economia e ruolo geopolitico, e che difficilmente rinuncerà al partner cinese.