La mattina del 24 febbraio 2022, la Turchia si è svegliata con un bivio imposto di fronte a sé: il feroce attacco russo nei confronti dell’Ucraina ha avuto l’inconveniente corollario di porre diverse scomode domande sulle fedeltà del governo anatolico. Se da una parte Ankara riconosce nella Federazione Russa il suo principale fornitore di gas naturale tramite i due gasdotti sottomarini nel Mar Nero e un fondamentale socio commerciale, Kyiv rappresenta per la Turchia l’indispensabile argine alle pressioni russe e un inatteso partner economico e difensivo. Consapevoli dei propri interessi antitetici, la Turchia si trova forzatamente schiacciata sia a livello diplomatico che a livello economico in una guerra che non è la propria e in cui non legge un tornaconto immediato. Se questo delicato gioco di equilibrismi è poi inserito in una partita più ampia, da giocarsi tra le fedeltà storiche concesse a Washington e all’Alleanza Atlantica e affinità ritrovate nella leadership di Putin ed Erdogan, la condizione anatolica viene rivestita di ancor più insicurezza e precarietà.
A seguito della dissoluzione del blocco sovietico, Mosca e Ankara hanno in parte lasciato al passato la storica conflittualità, intessendo fitti scambi commerciali essenziali per la Turchia: nonostante, la politica turca di diversificazione energetica, infatti, la Russia rimane ancora il primo fornitore di gas per la Turchia ricoprendo circa il 33% del fabbisogno turco. Mosca, inoltre, figura come il terzo partner economico di Ankara, dopo Germania e Cina, con degli scambi commerciali del valore di $34.7 miliardi. I vantaggi economici sperimentati dalla Turchia dai rapporti con Mosca non si fermano qui: il 20% dei turisti che hanno visitato le spiagge turche nel 2021 possedevano passaporto russo, con circa 4 milioni e mezzo di visitatori e per circa $25 miliardi di incassi.
I proficui scambi commerciali sono stati affiancati da un’affinità di vedute tra i due leader, Putin ed Erdogan, uomini di stampo autocratico che mal si sposano con gli ideali democratici promossi dall’Occidente e dalla prossima Unione Europea, che non si è fatta problemi nel chiudere la porta a un possibile allargamento per includere Ankara. L’allontanamento dalle sfere occidentali anche in ambito militare (come la decisione di espellere la Turchia dal programma NATO di sviluppo degli F-35 dopo l’acquisto da parte di Ankara di sistemi S-400 russi) ha dunque portato a un rinnovato bisogno di raggiungere un’autonomia strategica turca. La volontà di presentarsi come una vera e propria potenza regionale nel vicino Medioriente e Mediterraneo si è concretizzata in una politica estera più assertiva, guardata con diffidenza da Mosca. Contemporaneamente, gli interessi turchi e russi in politica estera, antitetici in tutto e per tutto, vedono i due paesi in posizioni diametralmente opposte in contesti come il conflitto nel Nagorno-Karabakh e le guerre civili siriana e libica. L’incompatibilità dei rispettivi interessi ha provocato tensioni non indifferenti: nel novembre 2015 due F-16 turchi hanno abbattuto un jet Su-24M russo vicino Ladiocea, nel Nord della Siria, provocando una momentanea interruzione nelle relazioni diplomatiche.
Analogamente, l’importanza strategica di Kyiv per Ankara è soprattutto da ritrovare nella sua posizione geografica: l’Ucraina si trova fisicamente, oltre che geopoliticamente, tra Turchia e Russia, creando una funzionale buffer zone. Il mancato riconoscimento dell’annessione della Crimea da parte di Ankara risponde esattamente alla necessità turca di guadagnare più respiro, al riparo dall’ingombrante influenza russa. I rapporti tra le due nazioni bagnate dal Mar Nero si sono basati, come da previsione, sul settore della difesa: fin dal 2014, diverse società turche hanno giocato un ruolo fondamentale nell’ammodernamento dell’esercito ucraino. Sono stati proprio i droni turchi Bayraktar ad essere stati utilizzati dai militari ucraini nella difesa del Donbass nell’ottobre 2021, provocando l’irritazione dei comandi di Mosca. L’apporto militare a Kyiv, tuttavia, non risponde solo all’obbligo imposto dall’appartenenza alla NATO, ma anche, e soprattutto, ad una necessità interna vissuta da Ankara: la sopravvivenza dell’Ucraina, come entità separata dalla Russia, appare fondamentale per la riuscita dei progetti turchi nel Mediterraneo e Medioriente in quanto argine della scomoda presenza russa. La (semi)indipendenza agognata dalla Turchia in ambito regionale viene dunque percepita come vincolata all’assenza russa, la cui partecipazione renderebbe impossibile l’affermazione turca come piena potenza regionale e la subordinerebbe alla Russia in quanto potenza globale.
Come da manuale, l’atteggiamento ambiguo turco, motivato da interessi contrapposti in due fazioni rivali, non ha fatto che perdurare con lo scoppio della guerra: sebbene il suo status di membro della NATO porta naturalmente la Turchia a dover supportare l’Ucraina, Ankara si è ben vista dal compiere azioni che possano compromettere i propri rapporti con Mosca. Oltre a rifiutarsi di adottare sanzioni contro la Russia, la Turchia ha continuato a presentarsi come un rifugio sicuro per gli yacht di lusso degli oligarchi russi “finché rispetteranno il diritto internazionale”, e ha inoltre mantenuto i voli diretti per la Russia in ottica di salvaguardare il lucroso turismo proveniente da Mosca. L’ambiguità di fondo perseguita da Ankara si basa, essenzialmente, sulla difesa dei propri interessi nazionali, bilanciando interessi e partner diversi in un delicato gioco di scambi: sempre in quest’ottica, la Turchia si è appellata alla Convenzione di Montreux che regola dal 1936 il passaggio dagli Stretti sia del Bosforo che dei Dardanelli, per la chiusura degli Stretti alle navi da guerra, sia russe che ucraine.
L’imperativo che comanda la conciliazione tra gli interessi contrapposti ha aperto le porte alla diplomazia turca: nello spirito della conservazione dello status quo antecedente alla guerra, Ankara si è profilata come intermediaria tra Kyiv e Mosca, e il 29 marzo, le due parti si sono infatti trovate a Istanbul per trovare un compromesso senza però arrivare a risultati concreti. Il fallimento della via diplomatica ha riportato Ankara direttamente al punto di partenza, acrobata in bilico tra complessi rapporti con Mosca, le aspirazioni egemoniche mediorientali e il vincolo atlantico.