Written By Redazione

di Riccardo Seghizzi

Il 2021 si è chiuso e l’America Latina volta pagina dopo un anno intenso e pieno di elezioni. Il 2022 non sarà da meno, con altre importantissime tornate elettorali. Con tutte le difficoltà del caso tra pandemia, democrazia vacillante, disuguaglianza sociale incalzante ed economie in difficoltà, il popolo latinoamericano ha deciso di polarizzarsi, facendo pagare i governi in carica.

Si è partiti il 7 febbraio in Ecuador. Guillermo Lasso è divenuto presidente con il 52% dei voti, a discapito del delfino dell’ex presidente Rafael Correa, il progressista Adrés Arauz. Lasso, liberale e conservatore, al timone del partito Creando Oportunidades (CREO), fa voltare pagina all’Ecuador interrompendo l’egemonia della sinistra al governo dal 2007. Da segnalare il partito indigenista Pachakutik, che rappresenta gli interessi della CONAIE, con ottimi risultati e quindi la possibilità di condizionare l’agenda, contenuti e ripartenza dell’Ecuador.

A fine mese invece è toccato al El Salvador, con le parlamentari, dove ha stravinto il governo di Nayib Bukele con Nuevas Ideas, conquistando i due terzi dei deputati in parlamento, ovvero 56 seggi sugli 84 disponibili, numeri mai raggiunti dalla fine della guerra civile del 1992. Populista al limite della dittatura, il 39enne salvadoregno con questo trionfo ha preso il controllo sul Congresso. Quasi istantanea la destituzione dei giudici della Corte suprema di giustizia e del procuratore generale, concentrando di fatto nelle proprie mani tutti i poteri dello Stato. Se non è un dato di fatto, poco ci manca: Nayib Bukele con questa maggioranza schiacciante è ormai impegnato in un processo dal sapore di autoritarismo e tentazioni dittatoriali.

In Bolivia vacilla invece chi al governo c’era già. Nelle elezioni regionali e municipali nelle due tornate tra marzo ed aprile, l’asse Evo Morales-Luis Arce con il partito di governo Mas hanno subito una forte frenata, fermandosi a sole tre regioni conquistate, perdendo anche importanti feudi nelle municipali. Non una debacle quindi, ma un brusco rallentamento per la sinistra boliviana, considerando anche la vittoria trionfale avvenuta appena nell’ottobre 2020.

La sinistra in America Latina ha potuto esultare e respirare tra aprile e giugno guardando al Perù. Nel Paese andino a trionfare ed entrare nella Casa di Pizarro è stato a sorpresa Pedro Castillo, maestro e leader sindacale, rappresentate dei ninguneados, con il partito della sinistra radicale Perù Libre. La sconfitta al ballottaggio del 6 giugno è stata la figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori e leader del partito conservatore Forza Popolare, Keiko Fujimori.

Tuttavia il lavoro di Castillo è stato minato da una serie di eventi e problemi, dovuti all’opposizione, ad un parlamento frammentato ed errori governativi, che hanno costretto il presidente a cambi sostanziali nella sua agenda radicale. La crisi politica peruviana sembra lontana dal finire, nonostante un nuovo presidente, che ha schivato fin qui i tentativi dell’opposizione di farlo decadere.

Nel Centro America a giugno si è votato in Messico per le legislative. Nonostante i pronostici dessero per favorito il partito di sinistra MORENA, del presidente Andés Manuel López Obrador, le cabine elettorali hanno dato un altro responso. Il presidente ha perso la maggioranza qualificata alla Camera dei deputati, soffrendo anche per la prima volta un calo di popolarità dal 2018. Nelle elezioni definite le più grandi della storia messicana, per il numero di incarichi da rinnovare, Obrador deve annotare un non accentuato ma significativo passo indietro.

Passo indietro anche per il governo in carica in Argentina alle elezioni legislative tra ottobre e novembre. Come di consueto questo appuntamento avviene a metà del periodo presidenziale, ed il presidente Alberto Fernández e la sua vice Cristina de Kirchner non possono essere affatto soddisfatti.

Dopo il disastroso risultato delle primarie del 12 settembre precedente, anche le legislative hanno fatto registrare una pesante sconfitta per la sinistra Frente de Todos e l’avanzare dell’opposizione di destra, Juntos por el Cambio.

Perse la maggioranza in Senato ed importanti roccaforti sparse nel Paese, Fernández dovrà correre ai ripari con un netto cambio di passo, prima che sia troppo tardi per salvare il suo governo. Nella peggiore delle ipotesi questa doppia bastonata potrebbe essere l’ipoteca del risultato delle future presidenziali del 2023.

Destino simile invece, a quello del El Salvador, anche per il Nicaragua. Il 7 novembre le elezioni generali, aggettivate praticamente da chiunque come farsa, hanno rieletto senza troppe sorprese Daniel Ortega, leader del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale ed al comando del Paese da 14 anni consecutivi.

Con il 75% dei voti e praticamente senza avversari, visto che sette candidati dell’opposizione erano in carcere, il Nicaragua rimane de facto un regime autocratico con Ortega ben saldo al suo posto. Oltre 200 atti di violenza segnalati nei seggi, numeri d’affluenza non veritieri, intimidazioni ed impedimento agli esponenti dell’opposizione di presidiare i seggi, obbligo ai dipendenti statali di inviare ai superiori candidati la prova che li avevano votati, sono solo alcune delle particolarità di questa elezione.

Svolta importantissima in Honduras al tramonto del 2021. In occasione delle elezioni presidenziali, la candidata di sinistra Xiomara Castro leader del partito Libertad y Refunacíon è diventata presidente dell’Honduras.

Già first lady dal 2006 al 2009, dopo tre tentativi è la prima donna a capo dello stato honduregno. Inoltre, Castro sarà la prima presidente di sinistra da oltre 10 anni, più precisamente da quando suo marito, Manuel Zelaya, fu deposto con un colpo di stato militare nel 2009. Tanti i problemi che la neo presidente dovrà affrontare, una disoccupazione al 10%, il devasto portato da due grandi uragani, la migrazione verso gli Stati Uniti ed il consueto problema latino delle bande di strada, estorsioni e violenze.

A chiudere il 2021 elettorale dell’America Latina è stato il Cile. In un anno si sono tenute l’elezione dei 155 membri dell’Assemblea Nazionale Costituente, per il cambio della Costituzione, le elezioni municipali e regionali ed infine la scelta del presidente. Chiusa l’era di Sebastián Piñera, al ballottaggio tra i due estremi politici Antonio Kast è stato battuto dal leader studentesco Gabriel Boric. Ad appena 35 anni, Boric diventa il più giovane presidente del Paese, con un’affluenza alle urne da record. Il processo che porterà alla nuova costituzione cilena, l’aumento delle tasse ai ricchi, la riforma del sistema pensionistico, i finanziamenti per la sanità e importanti novità sociali sono solo alcune delle ardue sfide che attendono Boric al varco.

Un anno intenso, pieno di cambiamenti e scenari futuri che sono mutati completamente. Un’analisi generale di tutto quanto è successo in America Latina mostra un aspetto predominante, ovvero la sconfitta delle forze moderate, sia di destra che di sinistra, con una conseguente polarizzazione del voto sulle posizioni maggiormente radicali. Un trend che prosegue è quindi lo sgretolamento dei partiti dalle opzioni moderate. Il tramonto di leadership consolidate a favore di new entry impensabili e puniti i partiti al governo a favore delle opposizioni.

Questo andamento è sicuramente viziato da una storia recente dell’area che non giova ai moderati. Oltre a pregresse situazioni traballanti, il Covid-19 ha colpito la regione e la sua crescita. Tutto questo ha accentuato le difficoltà per la maggior parte dei governi in carica, di rispondere alle necessità dei cittadini e alle promesse fatte. Queste complicazioni hanno minato le possibilità di riconferme governative.

Le domande e i pensieri ora si spostano sul 2022. Questa insoddisfazione e il cambio di scelta del popolo latinoamericano potrebbero far sentire i loro effetti anche nella nuova stagione elettorale. Un equilibrio regna ora in America Latina, tra la destra di Brasile, Colombia, Uruguay, Paraguay ed Ecuador e la sinistra di Cile, Perù, Bolivia, Nicaragua ed Honduras. Al netto di una sinistra latinoamericana molto differenziata, il bilanciamento nel continente è quasi perfetto. Equilibrio che potrà cambiare con le importantissime elezioni del 2022 in Brasile e Colombia. La sinistra spera di ritrovare i pezzi perduti della marea rossa che aveva inondato l’America Latina all’inizio del secolo, dopo faticosi impegni progressisti per superare definitivamente la stagione delle dittature.

La destra invece spera di dare seguito a pesanti vittorie avvenute nell’anno appena concluso. Oltre a ciò, il desiderio di minare ancora di più i governi in carica, recuperando costantemente terreno con gli occhi puntati all’orizzonte, verso le elezioni presidenziali.

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