Written By Redazione

di Michelangelo Cerracchio

Gli esiti della videoconferenza tra Putin e Biden rispecchiano la natura interlocutoria per l’interesse dell’equilibrio di potenza nella regione. Perché sia Mosca che Washington predicano toni duri ma razzolano lo status quo? Quali sono le alternative russe ad un’invasione dell’Ucraina?

Quest’invasione non s’ha da fare. Almeno, non domani. Almeno, fin quando la popolazione dell’Ucraina occidentale sarà abbastanza coesa da rendere ostile un’occupazione russa di tutto il territorio, esacerbando oltremodo i costi del conflitto. E, cosa più importante, finché gli Stati Uniti non faranno inversione di rotta per tornare a considerare il quadrante europeo il più urgente, disponibili quindi a sfidare in campo aperto la Russia ritenendo secondario il contenimento marittimo della Repubblica Popolare Cinese. Offuscata da una propaganda filoamericana nel continente europeo, la realtà è che lo status quo, al momento, va bene sia a Mosca che a Washington.

Pressione militare alternata ad iniziative diplomatiche: il più classico dei binomi delle relazioni internazionali ha condizionato anche questa mano di poker. Così come già successo a giugno, quando le pressioni militari accumulate dopo che Biden aveva dato dell’assassino a Putin sono state smussate nel meeting di Ginevra, anche questa tornata di tensioni è stata stemperata da un colloquio tra i due capi di stato.

Il mese scorso, l’intelligence ucraina e alcuni ufficiali americani e della NATO hanno accusato la Russia di aver ammassato 92 mila truppe a ridosso dei confini con l’Ucraina per prepararsi ad un’invasione del paese entro la fine di gennaio o l’inizio di febbraio 2022. In realtà, sia l’Ucraina che la Russia hanno aumentato la loro presenza militare al confine e le esercitazioni sono sempre più frequenti così come l’utilizzo di nuovi mezzi di sorveglianza. Tuttavia, l’escalation del conflitto sarebbe altamente rischiosa per chiunque, visto che altererebbe l’equilibro di potenza nella regione e complicherebbe ulteriormente le relazioni tra la Russia e i paesi transatlantici.

La successiva videoconferenza del 7 dicembre tra Vladimir Putin e Joe Biden non ha avuto esiti sconcertanti. L’inquilino della Casa Bianca ha affermato che un intervento militare in risposta ad un’aggressione russa dell’Ucraina “non è tra le carte sul tavolo”. Piuttosto, ha paventato due possibili di sanzioni: minacciare di escludere Mosca dai circuiti finanziari mondiali o aumentare le sanzioni verso il Nordstream 2, il gasdotto che dalla Russia si riversa in Germania dal Baltico, bypassando quell’Europa di mezzo più russofobica.

Tuttavia, poco prima dell’incontro virtuale con Putin, a riprova che il presidente Usa non può tirare troppo la corda con gli alleati europei, Germania in primis[1], Biden ha convinto il congresso a non applicare ulteriori sanzioni contro il gasdotto. E, a riprova che il quadrante più urgente per gli americani è l’Indo-Pacifico, la camera ha poi varato una legge volta a punire la Repubblica Popolare per la repressione degli Uiguri. Specularmente, Putin si è presentato alla conferenza appena essere tornato dall’India, paese chiave nel contenimento americano della Cina, dove ha firmato un accordo di cooperazione militare per dieci anni e altri contratti in campo energetico.

La minaccia di tagliare fuori Mosca dai circuiti finanziari mondiali, invece, sembra più fondata. Tanto da essere uno dei temi discussi nella telefonata di Biden a Draghi, Macron, Merkel e Johnson poco prima dell’incontro virtuale con Vladimir Putin. Inoltre, proprio un incontro con “almeno quattro dei principali paesi NATO” è stato annunciato dal Presidente americano al termine della videoconferenza russa.  Non è un caso che, prima del meeting virtuale, Biden si sia rivolto direttamente ai paesi della NATO più aperti al dialogo con la Russia e al Regno Unito, il paese più anti-russo del blocco occidentale dell’Alleanza Atlantica ma anche il più stretto alleato americano. Infatti, con l’intenzione di non soffiare ulteriormente sul fuoco, il Presidente americano ha lasciato spazio soltanto in un secondo momento al dialogo con i paesi direttamente interessati al contenimento della Russia in Europa, ovvero l’Ucraina (contesa) e gli altri nove paesi NATO nell’Europa orientale: Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia e Ungheria.

Quindi, il Presidente Putin si è appellato al diritto internazionale chiedendo al Premier inglese Johnson un accordo scritto in cui la NATO si sarebbe impegnata a non inglobare l’Ucraina. Va da sé che questa mossa cela una forte debolezza della Russia, come se le numerose ondate di pressioni militari volte ad acquisire maggior peso negoziale non fossero abbastanza.

Così come la Bielorussia, infatti, l’Ucraina è fondamentale per la Russia perché funge da cuscinetto tra la sé stessa e la NATO. Serve quindi ad allontanare la prima linea di difesa in assenza di barriere orografiche tra il centro del continente europeo e la madrepatria. Per questo motivo, destabilizzando Kiev, Mosca può proiettare la sua influenza più facilmente verso l’Europa. Più dettagliatamente, Mosca vede le repubbliche separatiste filo-russe nell’est dell’ucraina come una buffer zone tra l’ucraina filo-occidentale e il russkiy mir, il mondo russo, al fine di destabilizzare Kiev per i motivi di cui sopra.

Invadere o non invadere? Questo è il dilemma.

La Russia conosce le proprie possibilità, i propri limiti e i propri obiettivi meglio di chiunque altro. Mosca non vuole mettere a repentaglio lo status quo e con Washington ha trovato un’intesa di massima sull’Ucraina e Georgia[2]: la Russia non sfonderà in profondità in questi territori se gli Stati Uniti si impegnano a non dispiegarvi armi che potrebbero minacciare il territorio russo.

Piuttosto che un’escalation militare, Mosca preferirebbe spingere Kiev ad implementare gli accordi di Minsk, ma soltanto minacciando una maggiore destabilizzazione può forzare la mano per risolvere il conflitto nel Donbass. L’invasione, al contrario, pregiudicherebbe tali accordi. Inoltre, un’invasione porterebbe a nuove sanzioni da parte dei paesi transatlantici, fomenterebbe le proteste filooccidentali in Ucraina, aumenterebbe lo scontento in quei russi che hanno legami familiari con l’Ucraina o che vogliono concentrarsi sull’emergenza covid.

Quali sono le alternative ad un’invasione militare?

La Russia avrebbe un ventaglio ben ampio di possibilità per destabilizzare l’Ucraina senza incappare in conseguenze strategiche oltremodo negative. Un primo modo favorirebbe chiaramente Mosca dati i rapporti di forza nella regione e consisterebbe nel lanciare attacchi a sorpresa facendo leva sui ribelli filo-russi nell’est del paese. Non a caso Mosca ha aperto la circolazione dei beni manifatturieri nel Donbass, migliorando le condizioni economiche della regione, garantendo facile accesso al mercato russo e assicurando flusso continuo di armi, munizioni e assistenza militare alle forze separatiste.

Una seconda alternativa potrebbe essere la destabilizzazione del paese con mezzi economici. L’ucraina dipende in grossa parte dal ricavato del transito sul proprio territorio dell’energia russa destinata all’Europa e un eventuale dirottamento delle forniture, ad esempio attraverso il Nordstream 2, potrebbe comportare seri danni all’economia ucraina e alla tenuta sociale del paese. In aggiunta, la scarsa reperibilità di risorse gassifere e carbonifere potrebbe aggravare lo scenario, anche se la Russia ha sempre garantito l’offerta di carbonifera attraverso la Bielorussia, eludendo il bando istituito a seguito dello scoppio della guerra nel 2014.

Terzo, Mosca potrebbe destabilizzare Kiev politicamente. Il presidente Zelensky non gode di ottima salute all’interno del paese, visto che soltanto il 33% della popolazione ucraina sarebbe soddisfatto del suo operato. Inoltre, il presidente ucraino avrebbe firmato un decreto volto a limitare l’influenza politica ed economica degli oligarchi nel paese, ostacolando il loro accesso alle privatizzazioni di asset strategici e i finanziamenti ai partiti. Non stupisce, quindi, che Zelensky abbia riferito in conferenza stampa che l’intelligence è venuta a conoscenza di un colpo di stato organizzato da un gruppo di russi e ucraini programmata per i primi giorni di dicembre. Il presidente ha puntato il dito anche contro Rinat Akhmetov, uno degli uomini più ricchi del paese, proprietario di tre miniere di carbone nella regione russa di Rostov, proprietario della System Capital Management (SCM), azienda industriale e finanziaria con sede originaria nel Donbass, e proprietario dello Shakhtar Donetsk, squadra di calcio capolista della prima lega ucraina.

Infine, dagli accordi di Minsk accade che ogni primavera e autunno Kiev paventi la possibilità di un’invasione russa su larga scala. In genere ciò succede in vista dei colloqui Formato Normandia, quei colloqui che coinvolgono i rappresentanti di Germania, Russia, Ucraina e Francia, riunitisi informalmente durante la celebrazione del D-Day nel 2014 con l’obiettivo di risolvere l’impasse nel Donbass. I russi sanno di poter fare il bello e il cattivo tempo nei cieli di Kiev e cercano di spingere l’Ucraina ad implementare gli accordi di Minsk – nonostante molte violazioni del trattato provengano da parte russa – o quanto meno ad acquisire una maggiore posizione di forza in vista dei prossimi negoziati. E così, nuovamente, è stato.

Note: [1] Orietta Moscatelli, Questa mano di poker l’ha vinta Putin, Limes, 9 dicembre 2021; [2] Ekaterina Zolotova, Is Russia Planning Another Assault in Ukraine?, Geopolitical Future, 17 Novembre 2021;
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