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di Nicole Molinari

A partire dal primo decennio degli anni ‘2000 i social network hanno cominciato a svilupparsi e diffondersi come nuovo mezzo di comunicazione, rivoluzionando definitivamente la rappresentazione dei fatti e il modo di relazionarsi. Sono andati a toccare ogni aspetto della realtà, e tra questi ovviamente ne risultano fortemente influenzati i conflitti armati e le rivolte popolari dell’epoca moderna, tanto da arrivare ad essere definite “guerre 2.0” (Michelucci 2018). Per questa loro capacità i social sono stati definiti come “nuovi canali per poter mettersi in contatto e cercare di scardinare il sistema di potere” (Di Liddo, Falconi, Iacovino, La Bella 2011); in particolare, sono risultati essere un mezzo efficace per il basso costo dell’accesso e condivisione delle informazioni, il quale allarga la platea di cittadini che ne possono usufruire e rende più facile e veloce la loro comunicazione.

Il primo evento nel quale l’influenza dei social è stata chiaramente visibile sono state le Primavere arabe, dove le gerarchie di potere sono state spostate a favore dei cittadini. Scoppiate nel 2011, hanno interessato i Paesi del Medio Oriente e dell’area Nordafricana, dove hanno avuto luogo scontri e lotte popolari per il cambiamento dei regimi all’epoca al governo. Questi mezzi di comunicazione hanno avuto un impatto tale da arrivare a parlare, secondo alcuni studiosi, di “Rivoluzione dei Social Network” (Di Liddo, Falconi, Iacovino, La Bella 2011); in ogni caso, rientrano certamente tra i principali fattori per cui le proteste hanno avuto quell’ampia risonanza e hanno coinvolto porzioni così elevate di popolazione. Twitter e Facebook – soprattutto quest’ultimo che risulta essere il più diffuso in quelle aree – favoriscono la creazione di network e contatti, e sono stati il mezzo di aggregazione e di organizzazione delle manifestazioni; è risultata infatti evidente una correlazione tra la mobilitazione online e quella fisica per le strade. I social sono riusciti a dare l’impulso iniziale ai movimenti, insieme ad internet e agli smartphone hanno funto da catalizzatori per le tensioni sociali, economiche e politiche all’interno dei Paesi. Oltre alla funzione organizzativa, il ruolo di divulgazione svolto è stato altrettanto fondamentale. Attraverso queste piattaforme tutti i manifestanti avevano la possibilità di condividere informazioni, notizie, immagini e video che potevano essere visibili a tutti; e grazie al carattere poco controllabile dei social network, per la maggior parte sono riusciti a sfuggire alla censura stringente in vigore nei regimi. In questo senso anche YouTube è risultato essere un mezzo efficace ed essenziale. Le pubblicazioni possono assumere il carattere di documentazione, in particolare nel caso delle Primavere arabe hanno permesso all’Occidente e alla comunità internazionale in generale di venire a conoscenza di ciò che stava accadendo nelle aree interessate praticamente in tempo reale, e di conseguenza si è avuto un aumento del sostegno alla causa. Ciò non significa che non vi siano stati tentativi di censura da parte dei governi: anzi, anche i regimi hanno sfruttato questi canali comunicativi con scopi di controllo e controspionaggio nei confronti dei protestanti, tentando di infiltrarsi all’interno dei movimenti. A partire dallo scoppio delle rivolte è quindi emerso che “l’atteggiamento sia dei cittadini, che dei governi della regione nei confronti dei Social Network è cambiato radicalmente, con i primi intenti a sfruttare i vantaggi organizzativi e informativi offerti da questa forma di attivismo e i secondi determinati a utilizzarli come strumenti di repressione e propaganda” (Di Liddo, Falconi, Iacovino, La Bella 2011). In conclusione, si può constatare che i social hanno costituito una forza importante che ha contribuito alla caduta di regimi più che trentennali in alcuni Paesi, ma ogni caso all’indebolimento dei governi nell’area mediorientale e del Nord Africa.

Le Primavere arabe sono state il primo vero esempio di un conflitto profondamente influenzato dall’utilizzo dei social network, ma non sono l’unico. Le funzioni messe in luce precedentemente, ovvero di informazione e aggregazione, sono visibili anche in altri scontri: nella guerra del Donbass, iniziata in Ucraina nel 2014, il caso di Anna Sandalova ha mostrato l’importanza di Facebook nell’organizzazione delle azioni. L’attivista ha creato sulla piattaforma una raccolta fondi chiamata “Help the Army of Ukraine”, che ha permesso di rifornire l’armata ucraina degli equipaggiamenti di cui necessitava nella lotta contro gli occupanti russi. È riuscita a canalizzare gran parte del sostegno popolare verso la causa e, inoltre, la maggior parte della popolazione del luogo indicava Facebook come principale mezzo di informazione riguardo allo svolgimento del conflitto. Altro esempio è quello della guerra israelo-palestinese: nel 2014 divenne famosa l’attività della sedicenne Farah Baker, la quale utilizzava Twitter per riportare gli avvenimenti nella striscia di Gaza. I suoi tweet divennero virali e riuscì a raccogliere sostegno in tutto il mondo facendo conoscere gli orrori di questo conflitto a livello internazionale. Ancora oggi gli attacchi perdurano in quest’area e tuttora i social risultano essere uno dei principali mezzi con cui il mondo viene a conoscenza di ciò che sta accadendo.

Fin qui abbiamo mostrato come i social network possono avere un’influenza in parte positiva sugli scontri ma, essendo questi mezzi poco controllabili, possono essere utilizzati anche per scopi meno nobili. La funzione di aggregazione è infatti spesso stata sfruttata da gruppi terroristici al fine di individuare nuove reclute e diffondere il loro messaggio; il caso principale è stato quello dell’ISIS, il quale, attraverso un canale Twitter apposito, pubblicava principalmente immagini e video con lo scopo di incutere terrore e arrivare ad avere ampia risonanza tra i media internazionali. Anche la funzione divulgativa ha dei risvolti negativi: il fatto che qualsiasi utente possa pubblicare qualunque tipo di informazione a suo piacimento, e di conseguenza il fatto che le stesse siano scarsamente verificabili, porta al problema oramai molto diffuso e difficile da contrastare delle fake news. Spesso queste sono anche messe in circolazione consapevolmente, per cercare di creare confusione e manipolare in un senso o nell’altro l’opinione pubblica; a volte i governi stessi sfruttano questo tipo di propaganda, e l’obiettivo può anche essere quello di tentare di innescare dei conflitti.

In conclusione, è emerso come i social, in relazione agli scontri globali dell’ultimo decennio, abbiano permesso a network di individui di avere un impatto reale sull’efficacia delle guerre, cosa che prima era riservata alle istituzioni tradizionali del livello statuale. Le persone comuni hanno acquisito l’abilità di cambiare il corso dei conflitti, perciò la dimensione militare e l’arena fisica di combattimento non sono più la sola sfera di importanza, ma anzi quella della “guerra 2.0” risulta essere via via sempre più rilevante.

Fonti:
  • Marco Di Liddo, Andrea Falconi, Gabriele Iacovino e Luca La Bella, Ce.Si. (a cura di), “Il ruolo dei social network nelle rivolte arabe”, settembre 2011, Osservatorio di Politica Internazionale n.40
  • Riccardo Michelucci, “La miccia «social» delle guerre moderne”, 7 giugno 2018, Avvenire.it
  • Kevin D. Maccranie, Marc D. Beaudreau, “2019, War in 140 Characters: How Social Media Is Reshaping Conflict in the Twenty-First Century, Marc D. Beaudreau, David Patrikarakos”, autunno 2019, Naval War College Review, volume 72, numero 4
  • David Patrikarakos, “Ukraine’s Facebook Warriors”, 20 dicembre 2014, The New York Times
  • Azmat Khan, “Sudden Gaza spokesgirl: «This is my third war… but this is the worst one»”, 1 agosto 2014, Aljazeera America
  • Roberto Colella, “La Guerra di Isis attraverso Twitter e i social network”, 27 aprile 2015, HuffPost
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