di Riccardo Arcobello

“America is back”[1] è stato il motto utilizzato con frequenza dal presidente americano Biden – sia in campagna elettorale sia nelle prime settimane di Presidenza – e al quale ha dovuto finalmente dare un senso concreto nei giorni scorsi al vertice del G7 sulle sponde della Cornovaglia. All’insegna del rilancio di longevi valori comuni, al vertice è stato definitivamente rinsaldato il concetto di multilateralismo tra i leader del mondo occidentale in funzione anti-Cina – sebbene Francia e Germania esprimano sempre qualche perplessità a riguardo – ed è stato più in generale cementato il legame tra Stati Uniti ed Europa. Infatti, la linea dettata dal presidente americano Biden punta ad occultare i quattro anni di Presidenza Trump, in particolar modo le utopiche mire isolazioniste e i freddi rapporti con gli alleati europei che hanno reso la politica estera americana piuttosto ambigua e poco decifrabile.

La ritrovata sintonia con Washington non può che essere apprezzata dai leader europei, rincuorati dal fatto che l’America di Biden abbia compreso come possa rimanere grande solamente mantenendo intatta la propria sfera di influenza e le storiche alleanze internazionali. Una nuova era per la NATO sembra quindi alle porte, nonostante il ruolo equivoco della Turchia e le parole del Presidente francese Macron che a fine 2019 affermò come la NATO fosse “cerebralmente morta” in seguito “all’atteggiamento degli Stati Uniti” di Trump. Benché quest’ultimo non sia più l’inquilino della Casa Bianca, nulla può garantire agli europei che in futuro non possa arrivare un Presidente molto simile al Tycoon; ma le relazioni travagliate degli ultimi anni, gli effetti della crisi sanitaria ancora in atto e la conseguente incertezza sul futuro sono tutti elementi che portano i leader europei ad affidarsi ai vecchi costumi e ad accantonare ogni progetto commerciale o diplomatico che non includa gli Stati Uniti.

Al vertice del G7 in questione, presieduto dal Regno Unito, è emersa l’urgenza di coordinare approcci e politiche comuni al fine di contenere l’espansionismo cinese. In primo luogo, per la prima volta in un documento ufficiale comune il mondo occidentale attacca con forza Pechino per la perpetrata violazione dei diritti umani. Come è facilmente intuibile, in questo caso Biden ha imposto la linea soffocando ogni titubanza europea; Washington è consapevole che la Cina sia, negli anni a venire, il principale competitor sulla scena internazionale, sia da un punto di vista economico sia politico e – in parte – militare. Tra le tante sfide imminenti tra le due potenze si individuano, ad esempio, il gioco della moral suasion e, soprattutto, la “nuova guerra fredda”[2] tra Washington e Pechino sull’innovazione e le nuove tecnologie (5G), nonché sugli approvvigionamenti strategici. Pertanto, Biden ha messo sul tavolo il progetto chiamato “Build Back Better for the World” al fine di superare la nuova Via della Seta cinese, con l’intento di favorire nuove costruzioni e infrastrutture con particolare attenzione al tema ambientale e, in particolar modo, allontanando l’Europa dalla crescente influenza cinese. Non a caso, il Presidente italiano Draghi ha voluto rimarcare la propria lontananza dai regimi autocratici e ha garantito che revisionerà la “Belt and Road Initiative”[3], evidenziando un deciso cambio di rotta rispetto ai governi precedenti proprio nel giorno in cui l’ambasciata cinese a Roma si apprestava a ricevere l’ex Presidente Conte. Nonostante le similitudini sulle prospettive future di Roma e Washington, tra i leader europei alcuni hanno meno affinità con Biden rispetto a Draghi. I rapporti economici tra Europa e Cina sono in forte crescita e, al di là del già citato memorandum firmato dall’Italia con il precedente Presidente, Francia e Germania sono ancora oggi restie ad abbandonare ogni contatto con Pechino, perlopiù dal punto di vista economico: i mercati cinesi sono luoghi prosperi per le aziende tedesche e Angela Merkel ne è ben consapevole. Allo stesso modo Macron cerca di tenere aperto il dialogo con la Cina, seppur la sua posizione appaia in generale assai più fragile a causa delle imminenti elezioni presidenziali francesi, alle quali peraltro la sua leadership verrà messa fortemente in discussione.

D’altro canto, sono noti i rapporti commerciali tra le due potenze medesime e nonostante le numerose divergenze tali relazioni sono ancora in essere. Biden sembra però fermo sulle proprie convinzioni e appare sempre più deciso a troncare anche le pacifiche relazioni con Pechino. Da questo punto di vista però, per gli Stati Uniti riuscire ad allontanare definitivamente gli europei dalla Cina è un compito assai più gravoso: il vertice del G7, antecedente all’imminente G20 presieduto dall’Italia, è solo il primo passo di un lungo percorso di riavvicinamento che potrà essere definitivo solo in caso di continuità nelle vedute degli attori coinvolti. Per quanto l’opinione pubblica europea sia legittimamente concentrata sul punto di vista umanitario – in cui Pechino ha una pessima reputazione – il premio in palio è ben più ampio e si identifica nell’egemonia globale. Le preoccupazioni americane sull’espansione cinese e – in parte minore – sulla Russia concedono all’Europa l’ingrediente di cui al momento ha più bisogno: il tempo per rinforzare la propria burocrazia e le relazioni interne tra gli apparati statali al fine di acquisire maggiore potere negoziale. Ma il tempo stringe e Biden, Draghi e gli altri leader europei sono consapevoli di dover accelerare ogni trattativa e processi in atto, cosicché si possano concludere accordi vincolanti e duraturi prima di eventuali cambi di governo e prospettive.

Fonti:

[1] “America is back. Si, ma quale America?” – Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore. 11 giugno 2021.

[2] “Dalla’Atlantico al Pacifico: nomi e dossier aperti nell’era Biden” – F.Ghiretti, Istituto Affari Internazionali. 3 marzo 2021.

[3] “G7 set to agree ‘green belt and road’ plan to counter China’s influence” – Financial Times, 13 giugno 2021.

Condividi su: