Durante il primo evento di SIR – Students for International Relations abbiamo avuto il piacere di avere come ospite Lucio Caracciolo, fondatore e direttore di Limes, Rivista Italiana di geopolitica, al quale abbiamo fatto delle domande. Ne riportiamo qui alcune.
SIR: partiamo dalla base. Direttore, che cos’è la geopolitica e perchè ne abbiamo bisogno per analizzare la politica internazionale?
Caracciolo: La geopolitica è l’analisi dei conflitti di potere in spazi e tempi determinati. Questa è la definizione più economica possibile. Si tratta quindi di capire come funzionano i conflitti di potere in un ambito spaziale e temporale definito che possa essere cartografato. Infatti, le carte geopolitiche sono essenziali, ma sono anche particolari perché sono dinamiche e non statiche.
Come procedere con l’analisi di un conflitto? Prima di tutto, si prendono in considerazione i partecipanti: chi sono, qual è il loro obiettivo, qual è la posta in gioco, qual è l’idea che hanno di sé e del mondo.
La storia è fondamentale per analizzare i conflitti geopolitici: dopo aver inquadrato il presente, si cerca di risalire alle radici di questo conflitto e se si vuole si può anche azzardare uno sviluppo futuro. Oggi, ieri, domani: questo è il corretto ragionamento che dovrebbe essere alla base di ogni analisi geopolitica.
Facciamo un esempio. Partiamo da un dato fattuale, ad esempio il conflitto tra Cina e Stati Uniti. Prendiamo uno dei teatri in cui sono impegnate le due grandi potenze, ad esempio Taiwan. Sapendo che idea hanno di sé e del mondo Stati Uniti e Cina, passiamo ad analizzare Taiwan, cioè un arcipelago tra il Mar Cinese Meridionale e quello Orientale su cui americani e cinesi hanno visioni diverse: i cinesi pensano che sia un’isola ribelle da riportare in patria, gli americani pensano che sia uno stato da proteggere perché controlla rotte marittime fondamentali. Con ogni probabilità Taiwan diventerà la pietra di paragone nei rapporti tra le due potenze e sarà proprio su questa questione che tra qualche anno potremo capire che sta vincendo la competizione tra Cina e Stati Uniti.
SIR: nel quadro di questa competizione tra Cina e Stati Uniti, come possiamo interpretare la Belt and Road Initiative? Cosa ha comportato per l’Italia la firma del Memorandum of Understanding nel marzo 2019?
Caracciolo: La partita tra americani e cinesi si basa sull’idea che la Cina vuole espandere sé stessa al di là della massa continentale – dove finora ha costruito il suo impero “5 volte millenario” – verso gli oceani.
La Belt and Road Initiative (BRI), che formalmente è un progetto economico-commerciale infrastrutturale ancora molto flessibile e ambiguo, viene considerata dagli USA – con correttezza di analisi – un progetto strategico alternativo alla c.d. globalizzazione americana.
L’Italia, che è senza dubbio da considerare parte dell’impero americano, ha aderito alla BRI nel marzo 2019 firmando con il governo cinese un Memorandum of Understanding con la presunzione che fosse un accordo unicamente commerciale. In verità, gli accordi hanno avuto un importante valore simbolico per le due grandi potenze: da una parte per la Cina che annetteva l’Italia alla sua sfera di influenza; dall’altra parte per gli Stati Uniti la conferma che gli italiani siano “un po’ neutralisti, un po’ traditori”.
Con la firma del Memorandum l’Italia è in qualche modo riuscita a perdere su entrambi i fronti: da un lato fino ad ora ha ottenuto pochissimi fondi cinesi, dall’altra gli Stati Uniti hanno deciso di imporre sanzioni, più o meno visibili. Insomma, una (ennesima) disattenzione da parte dell’Italia.
SIR: ma allora quale ruolo può ricoprire l’Italia nel sistema internazionale?
Caracciolo: L’Italia ha una serie di limiti che le precludono la possibilità di fare il gioco delle grandi potenze. Il limite fondamentale è la dura sconfitta durante la Seconda Guerra Mondiale. Non a caso, l’articolo 53 della Carta delle Nazioni Unite, ancora oggi perfettamente in vigore, identifica Italia, Germania e Giappone come “Stati nemici”. Si tratta di un particolare di tipo giuridico, ma ci ricorda come viviamo tutt’ora nel sistema di potenze determinato dall’esito delle due guerre mondiali. Un sistema che ha notevolmente ridotto la potenza degli stati europei e ha annullato, almeno dal punto di vista geopolitico, l’Italia.
Inoltre, ulteriore limite allo spazio di manovra italiano è il Trattato di Pace del 1947, il quale stabilì, abbastanza chiaramente, che l’Italia non si sarebbe più potuta permettere alcun tipo di velleità. Un ragionamento più o meno simile vale per la Germania, che ancora oggi non può permettersi di avere delle forze armate credibili a causa dell’opera di rieducazione dell’opinione pubblica in senso pacifista attuata dagli alleati.
Oggi forse l’Italia potrebbe avere qualche chance in più, non solo grazie al prestigio personale e alle relazioni che l’attuale Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha coltivato negli anni, ma anche perché il deficit di potenza italiano può far saltare l’intero sistema dell’Eurozona. Non a caso, all’Italia è stato assegnata la quota più alta di fondi del Next Generation EU. Il destino dell’Europa è in qualche modo legato al successo italiano.
Inoltre, l’Italia dovrebbe ritrovare la sua marittimità e creare una strategia a partire da questa caratteristica. Infatti, il Mar Mediterraneo è oggi di enorme rilevanza strategica, poiché si tratta di un Medioceano, cioè un mare che funziona come corridoio inaggirabile posto lungo la rotta più breve fra l’Indo-Pacifico e l’Atlantico. In questo senso, diventa uno stretto strategico su cui Cina e Stati Uniti hanno obiettivi diversi: da insidiare e in prospettiva cercare di far proprio per i cinesi grazie alle nuove vie della seta; da controllare e tenere aperto per gli americani, che se ne servono per muoversi liberamente attraverso gli oceani. Proprio su questo ultimo punto gli obiettivi italo-americani convergono: interessi primario da tutelare per l’Italia è senza dubbio la libertà di navigazione che, per un paese privo di materie prime e che basa gran parte dell’economia sul commercio, è importantissima.
L’Italia, già considerata dagli americani un’importantissima piattaforma logistica all’interno del Mediterraneo, forte della sua posizione geografica, dovrebbe imporsi in quanto potenza mediterranea, non dimenticando l’importanza strategica della Sicilia.
Insomma, l’Italia dovrebbe avere un’idea più chiara di quello che vuole – e di quello che può – e poi dotarsi dei mezzi per poter difendere, in tutti i modi, questi interessi.