di Silvia Protino La controversia sulla vicenda delle comfort women rappresenta uno dei principali elementi “disturbatori” nei rapporti tra due dei più rilevanti Stati dell’area nord orientale asiatica, Giappone e Corea del Sud, già fortemente compromessi dagli oltre quarant’anni di occupazione giapponese della penisola coreana, durante la prima metà del XX secolo. Inoltre, il vuoto lasciato nella penisola in seguito alla sconfitta del Giappone creò le condizioni per la partizione della Corea tra Nord e Sud lungo il trentottesimo parallelo. Si tratta dell’ultimo rimasuglio del Novecento poiché, a differenza di altri Paesi che si sono già riunificati, la Corea è ancora oggi divisa.

Ma facciamo un passo indietro. Chi sono le comfort women, anche dette military comfort women, le “donne di conforto”? Si tratta di un eufemismo per indicare delle donne – anche minorenni – costrette con la forza a prostituirsi dall’armata giapponese precedentemente e contemporaneamente al secondo conflitto mondiale. Di fatto, erano delle schiave che servivano – letteralmente – allo sfogo sessuale dei soldati e ufficiali giapponesi e alla prevenzione delle malattie veneree all’interno delle truppe. Alcune donne, maggiorenni e consenzienti, vennero reclutate attraverso la pubblicazione di annunci, senza sapere che sarebbero state avviate a una delle più terribili forme di schiavismo sessuale. Altre vennero ingannate oppure rapite dalle loro stesse abitazioni e poi deportate nei campi militari giapponesi.

I campi militari di prostituzione forzata non sono di certo un fatto nuovo e sconvolgente. Sono noti gli stupri di massa da parte dell’armata russa sulle donne tedesche, dopo il “trionfo” sovietico alla fine del secondo conflitto mondiale. Si sono visti campi di prostituzione anche durante la guerra del Vietnam, ad uso esclusivo dei soldati statunitensi.Tuttavia, il caso nipponico si distingue per sistematicità e vastità. La storiografia accerta circa 200000 giovani vittime cinesi, coreane, filippine, malaysiane, tailandesi, e anche europee, reduci dalle ex colonie olandesi e rimaste bloccate dall’avanzata giapponese. Di sicuro, la quota sudcoreana è stata la più consistente.

Insomma, un fatto di una portata politica considerevole che però è stato accantonato per circa quarant’anni, sia dal governo di Tokyo che da quello di Seul, già fortemente traumatizzato dalla guerra di Corea del 1950 e dalla conseguente partizione del territorio. Vi è anche un elemento psicologico che rende difficile una presa di posizione netta da parte della Corea del Sud nei confronti del Giappone. Quest’ultimo, infatti, rappresenta un modello di sviluppo economico da prendere come esempio e da cui, evidentemente, è difficile distaccarsi.

La questione riemerse solo negli anni Novanta, grazie alla presa di coraggio da parte di alcune sopravvissute, le quali decisero di rendere pubblica la loro testimonianza di comfort women. Da questo momento, iniziarono una serie di discussioni bilaterali che condussero, nel 2015, a un primo sostanziale accordo sulla questione, con il quale il governo giapponese si assunse la responsabilità dell’accaduto e, per la prima volta, venne previsto un risarcimento economico per le vittime di circa 8 milioni di dollari. Inoltre, il Primo ministro giapponese, Shinzo Abe, porse pubblicamente le proprie scuse alle vittime dello schiavismo sessuale. Fatto poco prevedibile, dato che lo stesso si era sempre rifiutato di usare l’espressione “schiave sessuali”, sostenendo che fosse più adeguato il termine “donne di conforto”.

Questa leggera inversione di rotta va vista alla luce di un aspetto che coinvolge altri due importanti attori dell’area geografica in questione. Infatti, il Giappone è alle prese anche con il mantenimento dei rapporti con la Cina e con la Corea del Nord e ha, quindi, interesse a mantenere forte economicamente e militarmente la Corea del Sud.

Ma ancora non hanno risposto tutti all’appello. Anche gli Stati Uniti hanno un notevole interesse strategico affinché i due paesi filo-statunitensi rimangano compatti. Difatti, non è una coincidenza che l’allora Segretario di Stato John Kerry sia stato il primo a congratularsi dell’accordo tra i due Paesi asiatici.

La Corea del Nord, invece, rimase esclusa dalla negoziazione dell’accordo. Onde scongiurare la minaccia nordcoreana, avallata da numerosi esperimenti nucleari e missilistici nella penisola settentrionale, il Giappone è particolarmente interessato a mantenere un solido rapporto con la Corea del Sud, proprio per arginare la pericolosità rappresentata dalla Corea del Nord.

Nonostante l’accordo del 2015 sia un importante passo avanti, non costituisce un’intesa definitiva tra i due Paesi: ancora oggi, le poche superstiti e i movimenti di sostengo organizzano manifestazioni di fronte all’ambasciata giapponese nella capitale sudcoreana. Quindi, non è detto che la questione sia decisa in maniera definitiva, anche perché le stesse vittime hanno lamentato uno scarso impegno da parte del governo giapponese e l’opposizione coreana ha giudicato le concessioni troppo eccessive.

Ad oggi, la situazione non è particolarmente cambiata. Lo scorso gennaio, un tribunale sudcoreano ha emanato una sentenza che ordina al Giappone di pagare una somma abbastanza importante a dodici ex comfort womensudcoreane. Si tratta di un fatto puramente simbolico che non ha apportato alcuno sviluppo alle relazioni tra i due Paesi. La questione è da ritenersi ancora aperta.

In conclusione, il caso delle comfort women rimane una delle più atroci e deplorevoli forme di schiavismo sessuale che l’umanità intera abbia conosciuto. Le superstiti hanno riscontrato danni fisici e psicologici irreparabili. Oltre a ciò, l’ostracismo sociale che subirono una volta tornate in patria fu terribile: vennero accolte come “svergognate”, vennero giudicate e marginalizzate. Soprattutto in Corea, dove il sistema patriarcale era ancora molto forte, secondo cui la donna doveva possedere virtù quali la fedeltà e la castità per potersi sposare. Le vittime non furono incentivate a chiedere un risarcimento o un riconoscimento: uno dei motivi per cui la questione cadde nell’oblio per decenni. Ciononostante, la dinamica delle relazioni tra la Corea del Sud e il Giappone per la vicenda delle comfort women è solo un caso empirico di un fatto strutturale del sistema internazionale. Risulta difficile, se non impossibile, per gli Stati del sistema internazionale anteporre qualsiasi tipo di considerazione morale, etica, umanitaria al proprio interesse nazionale.

Fonti: rielaborazione SIR di: ispionline.it unive.it ilpost.it

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